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Quel che fa un artista

QUEL CHE FA UN ARTISTA

Una mostra dalla Collezione permanente

a cura di Carolyn Christov-Bakargiev


6 aprile – 31 luglio 2016

Castello di Rivoli

 

La mostra presenta quel che fa un artista nel suo studio. L’esposizione unisce tre diverse generazioni di artisti che esplorano la coscienza e il mondo attraverso i propri gesti: l’artista concettuale della fine degli anni Sessanta e Settanta interessato alla fenomenologia del reale; l’artista della fine degli anni Ottanta e dei primi anni Novanta che di essa riconosce i limiti e che abbraccia la finzione e la narrazione, e oggi, nell’era digitale e all’inizio del nuovo millennio, l’artista attivista che vive in un mondo precario. Ciascuno si è relazionato con le tecnologie di registrazione e rappresentazione del suo tempo: la videocamera 16 millimetri e il video, la proiezione multischermo e la critica all’alta definizione, il video di scarsa qualità distribuito su Internet.

I nostri corpi sono sensori, oltre che limiti. Tramite essi percepiamo informazioni sensoriali che elaboriamo neurologicamente fino a giungere a ciò che riusciamo ad identificare come ‘noi stessi’ (la nostra ‘identità stabile’ o ‘coscienza’), attraverso un insieme di reazioni fisiche che fanno parte della natura umana. La nostra coscienza è tuttavia instabile e soggetta a cambiamenti, cambia con il modificarsi dei ricordi, è alterata da percezioni e stimoli diversi provenienti dall’esterno. La nostra esperienza può essere ricca, profonda, diversificata, oppure povera, superficiale e piatta.

Storicamente, nei termini stabiliti dall’Illuminismo, l’individualità e l’identità sono definite in base al vissuto e alla proprietà – noi eravamo il luogo in cui siamo nati, l’educazione che abbiamo avuto, il lavoro che facciamo e ciò che legalmente possediamo. Nel Ventesimo secolo la cultura consumistica, l’aumento della spettacolarizzazione e le grandi città hanno alterato radicalmente quella visione. Le tecnologie di riproduzione meccanica e digitale hanno inaugurato un’epoca di iper-riflessività che viene sfruttata dall’industria per omologare l’esperienza delle persone in una forma di libertà apparente, convenzionale e ripetitiva.

In parte reagendo all’esubero di immagini nella nuova cultura consumistica, gli artisti concettuali della metà degli anni Sessanta hanno dematerializzato la scultura e la pittura tradizionali: l’arte può essere un processo, una situazione, un evento, un gruppo di persone che fanno qualcosa insieme, una serie di gesti registrati su pellicola o in un video. Da allora gli artisti hanno esplorato ciò che la coscienza può essere, osservando i propri gesti e reazioni diventare opere d’arte intese come casi di studio per tutti noi.

Bruce Nauman (Fort Wayne, Indiana, USA, 1941, vive e lavora a Galisteo, New Mexico) dalla fine degli anni Sessanta ha esplorato il qui e ora, riducendo fenomenologicamente l’esperienza al suo minimo indispensabile. Dan Graham (Urbana, Illinois, USA, 1942, vive e lavora a New York) a partire dagli anni Settanta ha presentato la sfocatura dei confini tra il Sé e la natura fluida del mondo. L’artista femminista Lili Dujourie (Gent, 1941, vive e lavora a Lovendegem, Belgio), ha criticato la posizione dello sguardo patriarcale nell’arte tradizionale invertendolo nel suo studio. Più recentemente, William Kentridge (Johannesburg, Sudafrica, 1955, dove vive e lavora), suggerisce che non è sufficiente soffermarsi su ciò che avviene in studio mentre il mondo esterno brucia; in reazione consapevole ai gesti concettuali di Nauman e con un amore per la narrazione, Kentridge ha sviluppato immagini virtuosistiche di attività miracolose da lui performate in studio.

Infine, Francis Alÿs (Anversa, Belgio, 1959, vive e lavora a Città del Messico) rifiuta lo spazio dello studio nei suoi progetti urbani realizzati a partire dalla fine degli anni Novanta; le sue azioni empatiche, pur ricordando la semplicità di Nauman, richiedono un coinvolgimento nel mondo attraverso pratiche creative, fantasiose e surreali.

I primi concettualisti credevano che le tecniche di registrazione delle immagini in movimento avrebbero permesso la riproduzione di opere d’arte e la diffusione democratica al di là del mercato dell’arte. Pur mantenendo la proprietà su una prova d’artista di ogni opera per assicurarne così la proiezione pubblica, Kentridge appartiene a una generazione di artisti che negli anni Novanta hanno accettato i limiti della produzione di opere video in edizione. In linea con l’idea della libera circolazione delle immagini, Alÿs ha scelto di mantenere i suoi video accessibili a tutti dal suo sito web, mentre sono i suoi piccoli dipinti e progetti realizzati con cura artigianale a essere acquisiti da musei e collezioni privati. 

Nel corso di tutti questi tentativi, l’artista e il suo corpo si mettono in gioco.

Cosa faranno gli artisti domani?

Info

www.castellodirivoli.org


 

 

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