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L’architettura alpina da patrimonio a risorsa


di Maria Anna Bertolino


“Il vento fa il suo giro” è il titolo di un film del 2005 del regista Giorgio Diritti che narra dell’arrivo di un pastore dei Pirenei francesi, ex professore di liceo, in un paese delle Alpi italiane occidentali. Il paese vive una routine fatta di poche persone nel periodo invernale e del ritorno dei villeggianti nel periodo estivo. Lo stabilirsi del pastore, seguito dalla moglie e dai tre figli, sembra minare quel delicato sistema sociale, provocando una netta frattura tra coloro che vedono positivamente l’insediamento e chi, invece, vive quell’arrivo come un’invasione, manifestando un’ingiustificata gelosia verso la famiglia di forestieri. Le tensioni, in un paese di montagna retto da ferree regole di vicinato, aumentano fintanto che, a distanza di poco tempo dal suo arrivo, il pastore è costretto a emigrare altrove.

Un’occasione mancata di rilancio di un’economia di un paese di montagna al collasso? Sì, e non solo nella finzione. Infatti, dietro la trasposizione cinematografica si cela una storia vera, avvenuta negli anni Novanta del secolo scorso nel paese di Ostana in Valle Po, a quel tempo lacerato dalla ferita dello spopolamento. Finzione o realtà non importa, le due storie narrano uno stato che si considerava, fino a pochi anni fa, irreversibile e destinato ad acuirsi. 

Ma guardando a cosa è successo nel decennio che ci divide dal film, il quadro appare cambiato. Ostana, ad esempio, è oggi al centro di una rivitalizzazione sociale ed economica di tutt’altra portata che ne fa un caso emblematico di ritorno alle Terre Alte. È uno dei 34 Comuni piemontesi che hanno beneficiato del cosiddetto “bando borgate” del PSR 2007-2013 della Regione Piemonte. In Italia ogni Regione attua interventi sostenuti dalla PAC (Politica Agricola Comune) attraverso i PSR (Piani di Sviluppo Rurali), strumenti per l’avvio di politiche nel settore agricolo e agroindustriale. Tra le misure di specifico interesse del Piano di Sviluppo Rurale della passata programmazione si ritrova la Misura 322, “Sviluppo e rinnovamento dei villaggi”, e in particolare l’azione B, realizzazione di organici “programmi integrati di intervento” volti al recupero e allo sviluppo di un numero limitato di borgate montane, approvata dalla Giunta Regionale piemontese nel 2009 e conclusasi, nella sua parte operativa, da pochi mesi. 

La Misura 322 mira al miglioramento della qualità di vita nelle borgate del territorio montano, favorendo possibilità di permanenza della popolazione locale e incentivando l’insediamento di nuovi nuclei familiari e di nuove imprenditorialità. I “programmi integrati di intervento” hanno riguardato territori regionali classificati come montani e in particolar modo i territori regionali ricompresi nelle “aree rurali con problemi complessivi di sviluppo” e nelle “aree rurali intermedie”. Nei prerequisiti richiesti dal bando si legge che “la borgata deve costituire una unità storico-antropologica riconoscibile e rappresentare testimonianza significativa della storia delle comunità locali, delle economie rurali tradizionali e dell’evoluzione del paesaggio, intendendo la borgata come addensamento compatto (sia pure elementare) di edifici che non assuma i caratteri di singolo insediamento produttivo/residenziale”. 

A breve distanza dal suo effettivo termine – vi è stata una proroga ai lavori fino ad aprile 2015 – emergono interventi di recupero e di valorizzazione particolarmente significativi, dalle Alpi Marittime alle Pennine, che hanno comportato ben 571 progetti tra pubblico e privato per un investimento di 46,3 milioni di euro, cofinanziati in alcuni casi anche al 90%. 

Il ritorno alla montagna piemontese, dopo questi interventi, sembra sempre più possibile e lo è alla luce della riabilitazione dell’architettura alpina, non più considerata un patrimonio da musealizzare bensì una risorsa capace di attrarre investimenti in vista del ripensamento di una vita, stabile, in montagna.  Il recupero fisico dei fabbricati è infatti funzionale al ritorno di abitanti in un territorio che nel secolo scorso ha visto un repentino abbandono e la conseguente creazione di uno spazio vuoto. Ritornare in montagna comporta quindi una volontà di riparazione non solo rispetto a un repertorio materiale, quale il patrimonio architettonico locale, ma anche verso il paesaggio inteso come sommatoria di elementi naturali e umani, e nei confronti di una cultura alpina che si credeva scomparsa a fronte dei modelli urbani. Il vasto patrimonio edilizio è quindi considerato non semplice testimonianza del passato ma informatore del presente, poiché sempre più si tenta di recuperare e di applicare quei saperi e saper fare locali contraddistinti per l’alta adattabilità all’ambiente e variabili a seconda delle condizioni climatiche e altimetriche. 

La Misura 322 è andata in questa direzione intendendo l’architettura quale base su cui investire per nuove attività economiche, in particolare incentrate sulla multifunzionalità dell’impresa agricola (azienda di produzione, di trasformazione e vendita di prodotti ma anche struttura ricettiva capace di attrarre un turismo slow), e comportando un interessante  incremento demografico che, seppur supportato timidamente dalle statistiche e dalle analisi quantitative, si connota come un fenomeno sociale importante della contemporaneità. 

L’interesse per il rurale è, innanzitutto, ridefinizione del rapporto centro-periferia, considerato negli studi sociologici classici come dominio politico, sociale, culturale ed economico della città sui territori circostanti. Lo spopolamento, in tali aree, si è configurato come un vero e proprio esodo che ha portato alla disgregazione delle reti sociali delle comunità locali. Ora si pensa al ritorno alle Terre Alte non solo con nuovi progetti di vita, in vista della ritrovata dimensione sociale della borgata, ma anche come soluzione al mantenimento sostenibile del territorio alpino. 

Un esempio in questo senso deriva dalle associazioni fondiarie, nate a seguito della ristrutturazione e rivitalizzazione di alcune borgate, la cui finalità è il recupero produttivo ed economico delle aree abbandonate mediante l’accorpamento territoriale e l’avvio di nuove pratiche agro-pastorali, riprendendo un concetto di bene comune non estraneo alla storia montanara. In maniera sempre più creativa – o generativa secondo il lessico del sociologo Mauro Magatti – la tradizione diviene un fattore sociale cruciale per il cambiamento.

In vista del nuovo PSR della Regione Piemonte per il periodo 2014-2020, approvato dalla Commissione Europea nell’ottobre 2015 dopo un lungo iter, si può quindi sostenere che il successo delle nuove misure dipenderà dal saper combinare innovazione sociale, economica e tecnologica, incoraggiare il ritorno in montagna e mantenervi un numero stabile di abitanti con politiche abitative che permettano loro di immaginarsi in un periodo di lungo termine, reinventando così luoghi che guardano al passato, come è stato per l’architettura, per trovare soluzioni al presente e al futuro. 


 

Questo articolo ha vinto il secondo premio alla IX edizione del Premio Piemonte Mese, Sezione Economia, Ambiente, Turismo

 

 

 

 

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l.c.


  

 

 

Hanno collaborato a questo numero:

 

 

 

Nico Ivaldi

Gabriella Bernardi
Maria Anna Bertolino
Federico Carle
Silvia Commisso
Mariarosa Loddo
Emilia Scarnera

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