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Finita in Monteregali

 

 

 

Mondovì, 1472: nasce la stampa piemontese


di Paolo Roggero


Nell’ottobre 1472 il Piemonte fece un piccolo ma significativo passo in avanti nella storia. Fu tra i primi territori a farlo, nel contesto di un’Italia che avrebbe impiegato ancora qualche secolo a cagliare e nel contesto di un'Europa che nessuno aveva ancora avuto nemmeno la ventura di immaginare. 

La prima, piccola pietra di quella meravigliosa e imponente tradizione che sarebbe diventata la stampa piemontese, fu posata a Mondovì, in una oscura botteguccia del cantone di Piano della Valle, un toponimo che il fluire del tempo non è riuscito a intaccare più di tanto: ancora oggi, nel linguaggio comune dei monregalesi, quel pugno di vie è chiamato Piandellavalle. Dopo sei secoli quella locuzione antica si è contratta e si è fatta sostantivo.

Lì, nell'estate del 1472, stabilirono la loro attività due uomini giunti da Genova con un carico di attrezzature che da quelle parti non si erano mai viste e di cui in pochi sospettavano l’esistenza, almeno nel nord Italia. Il primo ha nel Monsregalis, come all’epoca si chiamava la città (un toponimo che lascia intendere la voglia del ceto dirigente di affrancarsi dal dominio del vescovo di Asti), le proprie radici: è Baldassarre Cordero, un individuo ambizioso e dotato di senso degli affari, cinismo quanto basta, come si vedrà, e lungimiranza. L’altro ha nome Antonio Mathias, proviene da Anversa ed è tra i primi detentori di una conoscenza che cambierà il mondo per sempre. 

Esattamente a metà del quindicesimo secolo Johannes Gutenberg perfezionò una tecnica che consentì finalmente di superare secoli di copie a mano e ottenere più libri in poco tempo e con spese infinitamente più contenute. Lo stillicidio che era stata la diffusione della cultura fino a quel tempo subì una brusca accelerazione: i testi non erano ancora economici, ma diventarono più accessibili. I classici iniziarono a fare il giro dell’Europa, consultati più agevolmente dagli studiosi di tutto il mondo, la Bibbia potè diffondersi tra i fedeli, alla portata di chiunque sapesse leggere. Un passo fondamentale per la riforma di Lutero, che prevedeva che il fedele si facesse lettore e interprete delle Scritture in prima persona, superando il filtro della mediazione degli uomini di Chiesa e delle bibliae pauperum, scolpite e dipinte sulle cattedrali. 

La stampa si diffuse in pochi anni in tutto il continente grazie ai primi colleghi di Gutenberg, che emigrarono in altri Paesi con l'intenzione di impiantarvi nuove tipografie, appoggiandosi alla forza economica dei signori locali interessati alle opportunità offerte dalla nuova attività. 

Mathias di Anversa era uno di questi. Si trasferì a Genova e, in società con Lamberto di Delft, aprì una bottega, grazie al finanziamento e l'appoggio di alcuni facoltosi genovesi interessati alla nuova attività. Dopo pochi mesi tuttavia Lamberto si tirò indietro e al suo posto nella società intervenne, inizialmente con un tramite, Baldassarre Cordero. In quei giorni però la peste tornò a infestare le vie di Genova. Cordero convinse Mathias a trasferire l'attività in lidi più salubri, nella sua Mondovì. 

Fu così, grazie a questa complessa serie di circostanze, che Mondovì si trovò a diventare uno dei primi centri della stampa in Italia, il primo in Piemonte. In quell'ottobre infatti videro la luce le prime copie del Summa confessionum seu interrogationum pro simplicibus confessoribus dell'arcivescovo Antonino di Firenze, i primi incunaboli a riportare in calce la dicitura “finita in Monteregali”; nel febbraio del 1473 fu la volta delle Heroides di Ovidio e delle Satire di Giovenale. 

Il sodalizio tra Cordero e Mathias non si rivelò particolarmente solido: ben presto il rapporto si deteriorò e, in seguito a un violento litigio, il monregalese fece imprigionare il socio, costringendolo a firmare un compromesso sfavorevole per riavere la libertà. Appena uscito di prigione Mathias fuggì a Genova, sperando di lasciarsi alle spalle quella brutta avventura. Una speranza che risultò vana, perche Cordero tornò a perseguitarlo con altre beghe giudiziarie, che furono risolte dagli organi di quella città. 

Le tecniche della stampa, apprese dal fratello di Baldassarre secondo gli accordi della società, non furono più un segreto a Mondovì. Appena tre anni dopo la famiglia dei Vivalda aprì un’altra tipografia in città, e successivamente fu la volta dei Berruerio, che contribuirono alla diffusione di libri popolari illustrati. Il momento di massimo splendore si ebbe nel sedicesimo secolo, quando i Savoia riconquistarono il Monregalese ai francesi. Decisi a potenziare la città, uno dei centri più importanti del regno, crocevia per i commerci con la Francia e la Liguria, vi impiantarono l’università, e si preoccuparono di affiancarle una tipografia moderna. Nel 1562 arrivò da Firenze Nicolò Torrentino, che aveva lavorato alla corte dei Medici, per occuparsi della nuova bottega, con due torchi in funzione e una fonderia interna. Nella seconda parte del secolo vennero stampati circa sessanta titoli fino alla cessazione dell’attività nel 1572, sei anni dopo il ritorno dell’ateneo a Torino. Nel corso del Seicento le attività di stampa persero un po’ della loro vivacità a causa delle tensioni politiche crescenti che culminarono nelle guerre del sale (1680-1699). Conflitti disastrosi per la città e per il suo territorio. 

È di quest’epoca l’apertura della bottega dei Rossi, la cui insegna è ancora ben visibile nell’agorà principale del rione Piazza, che con i Gislandi furono i maggiori protagonisti della scena libraria di quest’epoca e che sarebbero rimasti attivi fino al 1865. Citare tutte le botteghe che portarono avanti la tradizione nei secoli successivi sarebbe davvero impossibile: con le innovazioni introdotte dalla rivoluzione industriale ne aprirono sempre di più anche se tutte di dimensioni piuttosto contenute. Comparirono nella seconda metà del diciannovesimo secolo i primi giornali: prima il Vasco, del 1869; successivamente la Gazzetta di Mondovì e il Risveglio. Queste ultime due testate sono ancora oggi attive con il nome di Provincia Granda e Unione Monregalese, due realtà vive che continuano a raccontare il territorio.

Proprio per conservare e valorizzare la lunga tradizione di Mondovì nel campo della stampa il Comune, con la collaborazione decisiva dell’Associazione Amici di Piazza, ha aperto nel 2001 il Museo civico della Stampa, un piccolo gioiello che forse non è ancora conosciuto come meriterebbe. Ospita la più completa raccolta pubblica di macchine per la stampa d’Italia, della quale il nucleo più consistente è costituito dai pezzi della collezione di Ernesto Saroglia (1908-1989), un torinese che aveva un’officina per la riparazione e la costruzione di queste macchine. Nell’ultima parte della sua vita Ernesto si era dedicato a formare una raccolta che testimoniasse le tappe del progresso tecnologico della stampa, sognando di aprire un museo. Il museo fu poi aperto davvero, presso il castello del Valentino nel 1965 e successivamente a Rivoli nel 1991. La collezione rimase lì fino al 2000, quando trovò una nuova sede a Mondovì. Ai duecento pezzi della collezione Saroglia, messi a disposizione dall’Associazione Museo Universale della Stampa di Rivoli, si sono aggiunti quelli donati da Marisa Belloni e appartenuti all’editrice Tipografia Moderna di Nizza Monferrato, un’azienda fondata nel 1922 dal commendatore Arnaldo Belloni e diretta dalla figlia Marisa fino al 2001, quando ha cessato l’attività.

La sede del museo è un edificio storico nel cuore antico della città, costruito dai Carmelitani scalzi nei primi anni del Seicento: al suo interno James Clough ha allestito i sette percorsi tematici attraverso cui si articola l’esposizione. Tra i pezzi esposti ci sono cimeli di grande valore storico e curiosità dalla grande forza suggestiva: ci sono il torchio e il tagliacarte usati da Don Bosco a Valdocco nella sua scuola tipografica, la prima in Italia; la prima pianocilindrica della Gazzetta del Popolo, storico quotidiano torinese; e ancora il torchio litografico della Biblioteca Reale di Torino, utilizzato a lungo dall’Università per stampare le pergamene di laurea. 

Il museo, dopo la pausa invernale, tornerà ad accogliere i visitatori ogni weekend, a partire da aprile. Sarà un’ottima occasione per ripercorrere il viaggio della tipografia piemontese, proprio lì, dove quel viaggio, nell’autunno di tanti secoli prima, è cominciato.




 

 

 

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Hanno collaborato a questo numero:

 

Nico Ivaldi

Gabriella Bernardi
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Alberto Quintavalla
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