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We Have a Car

 

 

 

 

L'Isotta Fraschini 8A del Museo dell'Automobile di Torino. Da Milano a Torino passando  per il Sudamerica, Londra e Hollywood


di Lucilla Cremoni


"We have a car. Not one of those cheap things made of chromium and spit but Isotta Fraschini. Have you ever heard of Isotta Fraschini? All hand-made. Cost me twenty eight thousand dollars."


Se non siete ben certi che il vostro interlocutore più o meno occasionale sia un patito di vecchi film quanto voi, non state a raccontargli, con l'aria un po' complice di chi riferisce una notizia succosa, che il Museo dell'Automobile di Torino custodisce l'Isotta Fraschini di Sunset Boulevard - no, non una uguale, proprio l'Isotta Fraschini 8A Landaulet de Ville del 1929 sui cui sedili allora foderati in leopardo (speriamo finto) sedettero contemporaneamente William Holden, Gloria Swanson ed Erich von Stroheim. Se va bene confonderà Viale del Tramonto con Gilda o con uno dei classici noir anni Quaranta-Cinquanta, ma la maggior parte delle volte non avrà la più pallida idea di cosa stiate dicendo; in entrambi i casi difficilmente gliene importerà qualcosa. 

Peccato, perché Sunset Boulevard - meglio se in lingua originale, ma va bene anche la versione italiana in cui William Holden è doppiato magistralmente da Emilio Cigoli mentre il birignao ascendente di Andreina Pagnani (“Vi comprerò un panfilo ... e andremo alle isole avàii...”) non assomiglia per nulla al delirio imperioso della Swanson - è un capolavoro che sta alla storia del cinema come la Quinta di Beethoven a quella della musica. E in quel film l'Isotta Fraschini 8A carrozzata Castagna non era un oggetto di scena ma uno dei protagonisti, per molti versi fulcro della storia. 

Proprio come l'ex diva del muto Gloria Swanson non fu la prima attrice alla quale si pensò per il ruolo ma dovette fare un'audizione, così l'Isotta Fraschini non fu la prima auto presa in considerazione e dovette vedersela con altre dive sue contemporanee, l'Hispano Suiza e la Rolls Royce. E proprio come la Swanson si rivelò la scelta ideale, così fu per l'Isotta, che negli anni Venti era stata l'epitome del lusso più sfrenato di un'epoca sfrenata che senza freni andò a schiantarsi a Wall Street il 24 ottobre 1929.

"Majesty in Motion"

La Tipo 8 - dove '8' sta per otto cilindri in linea, in un'epoca in cui sei cilindri erano un sogno quasi proibito - fu l'apice di una produzione già di livello stellare, per la quale non erano sprecate definizioni come Xanadu sur roues o Majesty in motion. E il modello 8A fu l'apice dell'apice: una cilindrata di 7370 cc per una velocità che toccava i 140 chilometri l'ora, soluzioni tecniche all'avanguardia (come il sistema frenante integrale con servofreno) che mettevano a frutto le competenze acquisite durante la prima guerra mondiale, quando l'azienda fondata nel 1900 a Milano da Cesare Isotta e dai fratelli Fraschini aveva prodotto autocarri, motori d'aereo e anche i propulsori per i Mas. 

L'Isotta nell'allestimento attuale

Fra il 1924 e il 1931 furono costruiti circa 950 esemplari di Isotta Fraschini 8A, e ciascuno era un unicum, perché la casa produttrice forniva il telaio-motore, ma la carrozzeria era costruita dalle case specializzate (Castagna, Farina, Lotti, Sala eccetera) secondo i desiderata dei clienti. Si andava dallo sfarzo solenne per le auto destinate a sovrani, capi di stato e anche al Papa, alle follie più estreme dei magnati e dei divi del cinema, Rodolfo Valentino su tutti, proprietario di ben due Isotta (ne aveva ordinata una terza, ma morì prima della consegna) e la cui Coupé de Ville con tappezzerie di leopardo e finiture d'oro certamente ispirò quella del film.
“Mi è costata ventottomila dollari”, dice Norma: giusto per avere un termine di paragone, alla fine degli anni Venti un'auto americana di lusso - e parliamo di Packard, Cadillac, Lincoln - non superava i settemila dollari. In Italia, come ricordava Vittorio Fano in un articolo pubblicato nel 1991 su “La Manovella”, quando la più lussuosa delle Lancia, la Dilambda, costava ottantamila lire, l'Isotta Fraschini con carrozzeria Landaulet de Ville (cioè con l'autista all'esterno, separato dai passeggeri) ne costava 185.000. Ai quali si aggiungeva una tassa di circolazione di 6.543 lire annue, pressappoco cinquemila euro attuali. Si stima un prezzo corrispondente odierno sui trecentomila euro - all'incirca le cifre che spendono i super ricchi di oggi per le loro supercar (che però, ammettiamolo, non hanno la stessa classe). Plus ça change...

Billy Wilder in un'intervista precisò: “Volevamo un'auto che fosse fuori produzione da trenta o quarant'anni”- Anche se tecnicamente non è così -  la produzione dell'Isotta Fraschini cessò nel 1934 e il film uscì nel 1950 - il risultato è perfetto, perché nel film quell'auto è un sontuoso fossile di un'era finita, ancora relativamente vicina nel tempo ma irrimediabilmente remota e aliena.

Tutto questo però vuol anche dire che all'epoca del film la nostra Isotta Fraschini aveva già vent'anni, e che la sua partecipazione è solo un episodio, ancorché il più noto, della sua storia. 


Già, la storia

In genere non si sta a pensarci su, ma tutte le vetture esposte al Museo dell'Automobile, e in special modo quelle più antiche, hanno una storia. Perché tutte, a meno che non siano prototipi o concept car mai entrate in produzione, prima di diventare pezzi da museo sono state, appunto, automobili: hanno trasportato persone e cose, hanno attraversato guerre, si sono guastate e sono state riparate. Sono state sostituite da modelli più recenti, magari dimenticate in rimesse, scoperte da qualche collezionista e L'Isotta nel vecchio allestimento del Museo

restaurate per poi approdare al Museo torinese – che, non dimentichiamolo, è uno dei principali del suo genere al mondo e il primo in Italia per il quale la sede museale fu progettata e costruita ad hoc, alla fine degli anni Cinquanta (fu inaugurato il 3 novembre 1960). Ciascuna di queste auto storiche meriterebbe un approfondimento, e in effetti il nuovo allestimento fa molto in questo senso, superando la vecchia concezione museale di muta esposizione di pezzi a favore di un approccio tematico e interattivo che contestualizza e informa senza ovviamente precludere il piacere di ammirare quelle che sono, in molti casi, opere d'arte a pieno titolo. E per chi vuole approfondire ulteriormente c'è il centro di documentazione con archivio e biblioteca. 

Al Museo, l'Isotta Fraschini 8A è esposta, assieme alla rivale Rolls Royce, a una seconda Isotta Fraschini e ad altre supercar dell'epoca, in una sala dedicata agli Anni Ruggenti, con tanto di gigantografie di divi del cinema e spezzoni di film ambientati in quel periodo – a cominciare dall'immortale A qualcuno piace caldo


E prima?

Il che ci riporta alla domanda di prima: cosa faceva quell'automobile prima di diventare una stella del cinema?

Fino a qualche anno fa, la risposta era: non si sa.

A tutt'oggi, l'unica informazione che si trova in rete dice che la vettura usata nel film era appartenuta a Peggy Hopkins Joyce, una bella ragazza molto attiva sulla scena mondana degli anni Venti. Era una delle Ziegfeld Girls e il suo principale merito artistico fu, pare, l'aver ispirato il personaggio di Lorelei Lee, la bionda svaporata interpretata da Marilyn Monroe ne Gli uomini preferiscono le bionde. Peggy era l'amante di Walter Chrysler, il magnate dell'automobile, che alla moglie regalava le auto della casa ma all'amante avrebbe donato l'Isotta in questione – o forse addirittura due, stando al riferimento casuale che si trova in un vecchio articolo del New York Times. 

Bisogna però precisare che questa notizia è presente, con formulazione pressoché identica, in tutte le fonti che la riportano, vale a dire innumerevoli siti e blog a indirizzo cinefilo o automobilistico. Ma, come è tipico della rete, una notizia infinitamente rimbalzata non diventa per questo più attendibile.
Perciò, datosi che nello specifico non è possibile verificare o approfondire ulteriormente, ne prendiamo atto con la dovuta dose di scetticismo.

La svolta arriva nel 2013, ed è una storia affascinante che Piemonte Mese è orgoglioso di essere il primo a pubblicare.

 

La giovane Isotta e "la Follia di Dora"

Avendo appreso che il Museo custodisce l'Isotta Fraschini di Sunset Boulevard, nel marzo di quell'anno Thomas Peterson, uno studioso di storia locale e curatore museale dell'Arizona, nonché collezionista d'auto, contatta Donatella Biffignandi, responsabile del Centro di Documentazione del museo, e le invia una lunga lettera nella quale ripercorre i primi anni della vettura, intitolando il suo racconto Dora's Folly, “La follia di Dora”, e si vedrà perché. Una testimonianza orale, ma appresa da fonte diretta, che ci pare altamente plausibile e che, nel colmare una lacuna, rende la vicenda di quest'auto ancora più straordinaria.  

La moglie di Peterson appartiene a una famiglia originaria del Salvador ed è pronipote, per parte materna, di Arturo Araujo, che all'inizio del 1931 era stato eletto presidente dello stato centroamericano. Mussolini, che era interessato ad approfondire i rapporti con il Centro e Sudamerica, volle fare un dono prestigioso al nuovo presidente, e così Vittorio Emanuele III inviò ad Araujo una Isotta Fraschini 8A con lo stemma del Salvador. 

E qui entrano in scena Dora e la sua “follia”.

Dora Morton era una intraprendente ragazza inglese che aveva tenuto buona compagnia ad Arturo quando quest'ultimo era studente in Gran Bretagna. Quando, finiti gli studi, Arturo era tornato in patria, lei aveva contattato il di lui padre Eugenio Araujo, ricco piantatore di caffè e all'epoca ministro delle Finanze del Salvador, sostenendo che il giovane aveva promesso di sposarla e minacciando altrimenti di far scoppiare uno scandalo che avrebbe compromesso il buon nome della L'auto nel 1933, quando fu acquistata dalla Paramount

famiglia.
Così, Arturo fu rispedito in Inghilterra e Miss Dora Morton divenne Dora Araujo. Inorgoglita dal suo nuovo status di componente di una famiglia di alto rango, la signora chiese di essere ammessa alla Corte di San Giacomo come membro del corpo diplomatico, ma la sua domanda fu respinta e qualche tempo dopo Dora si trasferì in Salvador col marito.

Possiamo immaginare quanto l'esuberante Dora si annoiasse a fare la moglie di un ricco possidente centroamericano. Dopo l'elezione del marito, infatti, chiese e ottenne di tornare in Inghilterra, portando con sé anche l'Isotta Fraschini, con tanto di autista.
Una volta a Londra, Dora si rifece del tedio patito, scorrazzando ovunque con l'Isotta di stato e dedicandosi assiduamente alla vita di società. Come moglie del presidente ritentò la strada di St. James, ma nuovamente la sua richiesta di accreditamento diplomatico fu respinta. La reazione della signora, a quanto pare, fu tutt'altro che signorile, e per evitare ulteriori imbarazzi il marito ordinò il rientro immediato a lei e alla sua “Follia”, come era 
 soprannominato il suo entourage negli ambienti mondani londinesi.

 

Nessuno la vuole...

Araujo, evidentemente esasperato dai colpi di testa della moglie che avvantaggiavano i suoi avversari politici in un momento delicato (sarà deposto dopo soli nove mesi da un colpo di stato guidato dal vicepresidente), decise di sbarazzarsi di quel monumento di L'Isotta in Foreign Correspondent (1940)

macchina e la mise in palio come premio in una lotteria a favore di Copa de Leche, un'istituzione caritatevole per l'infanzia. Però il vincitore, un ricco piantatore di caffè suo amico, che aveva partecipato alla lotteria solo per fare beneficenza, non ne volle sapere di prendersi l'Isotta e Araujo dovette trovare un'altra soluzione.

Fece rimuovere le insegne del Salvador dall'auto e la spedì a sua sorella Mercedes (la nonna materna della moglie di Peterson) che aveva sposato un cittadino degli Stati Uniti e viveva in un ricco quartiere di Los Angeles. Ma per quanto agiata fosse la signora, quell'auto era eccessiva sotto ogni punto di vista, a cominciare dal richiedere un autista che lei non aveva, né intendeva ingaggiare. L'unica soluzione era mettere in vendita l'Isotta Fraschini. E così fece. 


... e lei diventa una Diva

Attorno al 1933 l'auto fu acquistata dalla Paramount che nel 1936 la vendette alla Pacific Auto Rental, fondata nel 1926 e che per molti decenni fu la principale agenzia di noleggio di auto per l'industria cinematografica. A quanto pare, l'Isotta fu usata per diversi film, ma l'unico di cui si ha certezza è Foreign Correspondent (Il prigioniero di Amsterdam) di Hitchcock, del 1940.

L'agenzia non si limitava ad affittare le auto e a fare normale manutenzione, ma le modificava secondo le esigenze della produzione. La nostra Isotta non fa eccezione: in effetti, il suo aspetto al tempo in cui la Paramount la acquistò dalla sorella di Araujo è pressoché uguale a quello che ha nel film di Hitchcock del 1940, ma è sensibilmente diverso rispetto a quello che presenta in Viale del Tramonto, per il quale fu sottoposta a un robusto restauro, proprio come Norma Desmond in previsione del suo immaginario ritorno sullo schermo. Furono sostituite le vecchie ruote con altre a razze con mozzi cromati, e così si fece per il parabrezza e i fari; fu rimosso il tettuccio che copriva il posto di guida; la parte posteriore della carrozzeria fu ridipinta con effetto vimini o forse veramente rivestita in vimini (dalle immagini non si riesce a distinguere); naturalmente gli interni furono rifatti e tappezzati con le ben note fodere leopardate.
Il risultato è consegnato alla storia del cinema.

 

Oblio e lieto fine

Ben poco sappiamo della carriera successiva della vettura, ad esempio se abbia partecipato ad altri film. Si sa però che la Pacific Auto Rental periodicamente metteva in vendita alcune auto della flotta: per liberare spazio nelle rimesse, certo, ma soprattutto perché l'evoluzione dell'industria cinematografica e la fine dello studio system aveva drasticamente ridotto la domanda. 

Di una di queste occasioni presumibilmente approfittarono tre collezionisti torinesi che nel 1972 l'acquistarono per conto del Museo dell'Automobile. La fecero restaurare accuratamente riportandola all'aspetto originale ma lasciando il monogramma “ND” sulla portiera. Da allora l'Isotta Fraschini 8A Landaulet de Ville del 1929 è torinese.
Da Milano a Torino, passando per il Sudamerica, l'Inghilterra e Hollywood.

Come ha scritto Stefano Costantino nel 2004, questa vettura “è un oggetto impressionante per il suo effetto scenico e ancora oggi incute distanza e soggezione nell'osservatore”. 

O, come forse direbbe la diretta interessata con la voce di Norma Desmond, “Io sono grande! Sono le automobili  che sono diventate piccole”.
  

Un ringraziamento speciale a Donatella Biffignandi, responsabile del Centro di Documentazione, e a Paola Masetta dell'Ufficio Stampa del Museo Nazionale dell'Automobile di Torino, per la loro cortesia, disponibilità e passione.

 Le foto dell'auto nel museo sono di Lucilla Cremoni

 

 

 

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We Have a Car
L'Isotta Fraschini 8A del Museo dell'Automobile di Torino
di Lucilla Cremoni


 

Hanno collaborato a questo numero:

Nico Ivaldi

Gabriella Bernardi
Lucilla Cremoni
Tamara Cucchiara
Irene Sibona
 

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