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La musica in Piemonte

 

 

 

 

Appunti per una storia – Parte III


di Alberto Cesare Ambesi


Jean Bapteur, CrocifissioneNell’affrontare il tema dell’apparizione della musica “colta” in Piemonte, durante l’età medievale, siamo riusciti ad evitare i consueti aneddoti che rinviano a qualche documento di archivio o alle sparse citazioni che possono rintracciarsi nelle opere di storia di Luigi Cibrario (1802-1870), da tempo abbondantemente saccheggiate per diritto e per rovescio. Continueremo perciò a coltivare l'ambizione a disegnare una storia dell’arte musicale piemontese, con molte porte e finestre su ampi panorami o su viottoli rimasti in ombra. Atteggiamento al quale ci incoraggiano le voci delle età dell’Umanesimo e del Rinascimento, al di qua e al di là dalle Alpi. Necessariamente, oseremmo dire. Difatti, nella fase di transizione dal più superbo Medioevo gotico alle prime espresssioni umanistiche, il ducato di Savoia si estendeva da Ginevra a Nizza, da Chambéry a Torino, avendo per signore Amedeo VIII (1383-1451), detto Il Pacifico, statista di eccezionale valore e propenso a fiancheggiare l’Impero, piuttosto che gli interessi della Franca Contea. Fu dapprima Conte di Savoia (1391), poi Duca dal 1416 al 1440, anno dell’abdicazione. Fu eletto al soglio pontificio dal Concilio di Basilea, nel 1439, avendo abbandonato la vita politica nel 1434, ma la sua designazione incontrò l’opposizione di svariate cerchie ecclesiali. Si dimise nel 1449, due anni prima della morte.

Perciò non stupisce che, lungo tutto il Quattrocento, nelle arti del Ducato, in tutte le arti, si siano alternate e/o sovrappposte influenze o suggestioni borgognone e lombarde, provenzali e fiamminghe, liguri e tedesche. Non a caso, dunque, si potrà da subito affermare che la tempera su tavola Crocifissione del friburghese Jean Bapteur (documentato dal 1427 al 1453), Crocifissione (Torino, Musei Civici) bene rappresenta, sotto un duplice profilo, la coeva situazione culturale dell’area sabauda: da un lato, l’irradiarsi esplicito o sotterraneo di un'intellettualità sensibile alle ereticali dottrine religiose boeme, con le ascendenze hussite esercitatesi sulle comunità valdesi della Val Pellice e Val Chisone, soffocate nel 1484 con un’apposita crociata. Dall'altro, il duplice, distanziato fluire di una sapienza musicale fiammingo-piemontese dapprima nel bel mezzo della prima fioritura della “Scuola romana”, grazie a Costanzo Festa (1480-1545) nato a Villafranca Sabauda, più tardi salutato come anticipatore di Palestrina; poi, nel secolo successivo, alla corte di Elisabetta I Tudor, per merito del bolognese Alfonso Ferrabosco senior (1543-1588), sospettato dall’Inquisizione di intrighi spionistici, ma che troverà sicurezza e onori alla corte di Carlo Emanuele I di Savoia (1562-1630, duca di Savoia dal 1580), divenendone “musico, servitore e gentiluomo di bocca” dal 1582 al 1588.

Guillaume DufaySenza dimenticare Guillaume Dufay (1400 c.a.-1474), compositore d’indubbia grandezza, ancorché arduo da apprezzarsi poiché legato, per alcuni tratti, alla spiritualità “gotica” in senso lato, ma per altri già attento ad assimilare con genialità i segni aurorali del mutamento poematico e stilistico che avrebbe visto il graduale affermarsi della sensibilità tonale di contro all’orizzonte che aveva al centro la grammatica dei modi gregoriani. 

Ma perché mai dovremmo occuparci un musicista franco-fiammingo? Ha avuto forse qualche rapporto con Casa Savoia? Risposta affermativa a tutto tondo. Dufay, fin dal 1433, dopo essere divenuto membro della cappella papale a Roma, conquistò una crescente fama europea e ne sono eloquente testimonianza diverse tappe della sua carriera di musicista di chiesa e di corte. E in specie nell’ambito sabaudo: per desiderio di Amedeo VIII, difatti, fu maestro di cappella, dal febbraio 1434 al giugno 1435, di Ludovico di Savoia (1413-1465, luogotenente generale del Ducato dal 1440 al-1465); la medesima carica ricoprì fra il 1438 e il 1439 e dal 1452 al 1458. Si può ben dire che Guillaume Dufay fu uno dei primi, primissimi musicisti a possedere e sviluppare una piena coscienza dell’unità culturale dell’Occidente musicale, ora appropriandosi di stilemi inglesi, ora tramandando la sapienza contrappuntistica fiamminga e altre volta ancora chiedendo alla vocalità - a tre o quattro voci - di manifestarsi con un’articolazione che poco o nulla concedeva agli schemi strutturali d’insieme, quando rigidamente prefissati. Maestria che il musicista seppe maturare anche porgendo orecchio alla contemporanea musica italiana, fin dall’età giovanile, essendo stato al servizio dei Malatesta, a Pesaro e a Rimini, fra il 1420 e il 1426. 

Da ciò il duplice quesito: la vita musicale sabauda trasse qualche giovamento dalle ricorrenti prensenze di Dufay e vi fu successivamente alcun compositore che si potrebbe definire erede o continuatore delle esperienze e del sapere del maestro franco-fiammingo? La risposta è meno facile di quanto appaia a prima vista. È difatti indubitabile che Costanzo Festa, nel precorrerere le conquiste espressive palestriniane, saprà essere eloquente nella scienza della armonia come nel gioco contrappuntistico, avendo anch’egli il fine di far bene cantare tutte le parti, vocali e strumentali, sia nel genere sacro (il suo Te Deum del 1516-17 fa tuttora parte del repertorio della Cappella Sistina) sia nelle invenzioni profane, madrigali e mottetti spesso d’ispirazione petrarchesca. Altro il discorso, quando si rifletta sulla prima parte della domanda, che ci proietta entro un tempo e uno spazio tanto crudeli quanto entusiasmanti, poiché si prolungano e si ramificano anche nei decenni successivi e con frequenti esiti estremi: nel 1553 a Ginevra viene arso sul rogo, per volere di Calvino, il teologo e medico spagnolo Michele Serveto (nato nel 1511), a causa delle sue opinioni antitrinitarie; due anni più tardi, con la pace di Augusta, cattolici Mottetti di Costanzo Festae luterani sanciscono il curioso principio, grazie al quale la confessione ecclesiale prescelta da ciasun regnante s’intende automaticamente estesa ai suoi sudditi; nel 1562, dopo un triennio di occcupazione, in forza del trattato di Cateau-Cambrésis, i francesi restituiscono Torino ai Savoia che ne fanno la loro capitale; nel 1585, Giordano Bruno (nato nel 1548) scrive De gl’ heroici furori, una delle opere che contribuiranno a farlo condannare al rogo quindici anni più tardi.

Inevitabile, o quasi, che entro un simile scenario fosse consuetudine che i musicisti più colti venissero pregati dalle corti europee di accettare qualche incarico “riservato”. In specie se in coincidenza con un previsto viaggio professionale dell’artista. Come presumibilmente accadde più volte a “Master Alfonso”, cioè ad Alfonso Ferrabosco l’anziano, compositore e liutista al servizio di Elisabetta I, figlio primogenito di Domenico Maria Ferrabosco (?-1574), maestro della Cappella Giulia in Vaticano. Ne sono forse prova e controprova due eventi diversi e tuttavia somiglianti: il malumore dell’Inquisizione quando Alfonso lasciò l’Italia per l’Inghilterra, nel 1562, e la stizzita scontentezza di Elisabetta, vent’anni dopo, di fronte al rifiuto del musicista di tornare a Londra. Interessante, molto interessante. Ma qui ed ora c’interessa piuttosto che dobbiamo ad Alfonso Ferrabosco l’anziano un basilare contributo alla nascita e prima fioritura del genere del madrigale, così come non va dimenticato che la sua inventiva si esercitò pure con efficacia tanto nell’ambito della musica sacra a cappella, quanto nell’ideazione strumentale. Non a caso, la musicologia riconosce oggi che la sua figura regge il confronto con Cipriano di Rore (1516 ca-1565 ) e Orlando di Lasso (1532 ca-1594), avendo preparato con loro gli splendidi secoli del Rinascimento e del Manierismo musicali. 

 



 

 

 

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Hanno collaborato a questo numero:

Nico Ivaldi

Alberto Cesare Ambesi
Gabriella Bernardi
Oscar Borgogno
Fabrizia Galvagno
Alberto Marzocchi - Giorgio Ruta
 

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