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Il pesce di montagna

 

 

 

L'acciuga, protagonista della tavola piemontese, e il mestiere dell'acciugaio


di Matteo Garnero


Ha il corpo slanciato, il ventre leggermente arrotondato ed una testa prominente sormontata da occhi e bocca piuttosto grandi. Ah, senza dimenticare la sua lunghezza, che varia dai dodici ai venti centimetri, e la sua tonalità argentea mescolata a sfumature verdi e blu. Stiamo parlando dell'acciuga, umile e delizioso pesce che abbonda nei mari che circondano la nostra penisola. L'acciuga, o alice che dir si voglia, è però anche l'ingrediente principe di innumerevoli piatti della cucina piemontese. 

Fermi tutti. Come può un pesce far parte della tradizione culinaria di una regione che dal mare dista centinaia di chilometri? 

Per rispondere a questa domanda occorre fare un salto in un passato molto remoto, quando gli abitanti della Val Maira delle Alpi Cozie del Cuneese nella stagione fredda abbandonavano le loro case per cercare una magra fonte di guadagno altrove. Erano coloro che in dialetto piemontese vengono chiamati anciuié e in occitano anchoiers: gli acciugai valmeiresi. Costoro, appena terminati i lavori agricoli, lasciavano i centri di Dronero, Celle Macra, Macra, Paglieres e Soglio per recarsi, insieme ai loro inseparabili carretti azzurri, nei porti della Liguria a comprare le acciughe. Dopodiché iniziava il loro lungo peregrinare – in Piemonte, nel Milanese e talvolta fino in Francia – di paese in paese, di cascina in cascina, nella speranza di vendere, al grido di “Oooh anciuié, anciuié”, il loro carico di pesce salato. 

Sull'origine di tale antichissimo fenomeno (di cui non si ha una datazione precisa) supposizioni, ipotesi e leggende si intrecciano senza spiegare perché gli acciugai provenissero proprio dalla Val Maira. Alcuni ritengono che questo commercio nacque dall'arguzia di un valmeirese che, volendo nascondere del sale (sul quale vigevano pesanti dazi doganali) agli occhi di un gabelliere, vi pose sopra uno strato di acciughe, accorgendosi in seguito che il commercio di queste ultime era ugualmente redditizio. Altri sostengono che questa professione abbia avuto origine da un bottaio di Celle Macra che sarebbe tornato da Genova con due botti colme d'acciughe: le rivendette lungo la via del ritorno traendone un buon guadagno e la notizia si diffuse in tutta la Val Maira. Qualunque sia stata l'origine del fenomeno, fatica e miseria facevano indubbiamente da sfondo a questo mestiere, che molti intraprendevano già a dodici anni e i cui guadagni spesso erano inferiori alle spese. Alcuni  però fecero fortuna, dando vita a floride aziende di lavorazione del pesce, in Italia e all'estero.

Nel secondo dopoguerra la professione di acciugaio ha subito una radicale trasformazione con il crescere del benessere economico: i mezzi a motore prendono il posto del carretto in legno, alla vendita di casa in casa si sostituisce il posto fisso al mercato o nei negozi e l'ambulante diventa commerciante. 

Nonostante pochi figli abbiano proseguito il mestiere dei padri, la Val Maira sembra non aver dimenticato questo importante tassello economico e gastronomico della propria storia. Ne sono testimonianza eventi come la Fiera di San Marcellino e degli acciugai che si svolge ogni anno nel mese di aprile a Macra, gli allestimenti museali come il Museo Seles dei mestieri itineranti in Borgata Chiesa di Celle Macra e gli itinerari naturalistici come Il sentiero degli acciugai, anch'esso a Celle Macra. 

Per non parlare poi della meirese Confraternita degli acciugai, la cui ideazione,  avvenuta nel 2007 al salone Slow Fish di Genova, si è concretizzata nel 2010 per merito dei cinque soci fondatori. La Confraternita altro non è che un'associazione di promozione sociale senza scopo di lucro che oltre a voler mantenere vivo il ricordo del mestiere dell'acciugaio intende “salvaguardare – come si legge nel suo statuto – e valorizzare l'utilizzo dell'acciuga, nonché dare rilievo, mediante convegni e pubblicazioni, al consumo di tale pesce”. Altra finalità di ambito strettamente culinario perseguita dalla Confraternita degli acciugai è l'istituzione di un comitato tecnico di esperti e cuochi che riconoscano, a ristoratori e commercianti (specialmente valmeiresi) meritevoli, un marchio di qualità, per favorire il turismo enogastronomico in Val Maira. Vale poi la pena citare anche la rassegna “Cultura da gustare”, iniziativa (manco a dirlo anch'essa valmeirese) in cui ogni anno, a fine giugno, una quindicina di ristoranti aderenti propongono menù a base di acciughe sotto sale.

Eventi, istituzioni e manifestazioni, che non fanno altro che sottolineare il ruolo che l'Engraulis encrasicolus (nome scientifico dell'acciuga, ndr) riveste nella cucina piemontese, a cominciare dal piatto simbolo della nostra gastronomia, la bagna cauda, adottata già nel Tardo Medioevo dai vignaioli per festeggiare la spillatura del vino nuovo (e preparata soprattutto con il tartufo per i più ricchi, mentre per i meno abbienti abbondava solo di aglio e acciughe). L'acciuga è molto utilizzata anche come ripieno per uova e peperoni e come componente di numerose insalate, per non parlare delle  acciughe al verde,  tipico piatto da merenda sinoira, del coniglio alla piemontese e della pasta d'acciughe (il cui sapore pare ricordi il garum, condimento utilizzato dagli antichi romani), del bagnetto rosso a base di pomodoro e peperoncino. Non è un caso che questo pesce venga anche definito “pane del mare”. 
 

 

Questo articolo ha vinto la VI edizione del Premio Piemonte Mese, Sezione Enogastronomia


 

Si ringrazia il Comune di Celle Macra per la concessione delle immagini

 

 

 

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Hanno collaborato a questo numero:

Nico Ivaldi

Roberta Arias
Lucilla Cremoni
Matteo Garnero
Valentina Innocente
Valentino Zannella

 

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