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Occhio malocchio. Siamo tutti docchiati?

 

 

di Federica Vivarelli


Prima è la maionese ad impazzire. Poi è la volta dei mal di testa. E, come se non bastasse, il singhiozzo. Per non parlare delle cose che scivolano continuamente dalle mani. Tutti chiari sintomi di una fastidiosa patologia: il malocchio. O fattura, scalogna, iattura, iella, malaugurio, picchio che dir si voglia. Tante parole dialettali o contemplate dalla lingua italiana, che esprimono sempre la stessa cosa: l’arte di nuocere con lo sguardo. Basta un bel vestito, o vivere un periodo particolarmente fortunato. Si attrae lo sguardo altrui e si contrae il malocchio. 

Alcuni ne ridono scettici, in molti ci credono. Comunque pochissimi hanno un rimedio: i “farmaci” più gettonati al momento restano infatti il cornetto rosso o il ferro di cavallo. In cima alla lista anche il toccare ferro facendo le corna con le dita, o i ben noti gesti apotropaici. Una schiera di antidoti che non sempre bastano. Ed è in questo caso che occorre l’aiuto di uno specialista: una ricerca difficile, ma non impossibile. 

Sono infatti poche le persone che tolgono il malocchio. Si tratta perlopiù di donne,  quasi sempre di mezza età, che ricevono in casa e che si servono di oggetti alla portata di tutti: acqua, olio, sale. E soprattutto preghiere, invocando santi e angeli dimenticati. Queste santone non chiedono denaro, al massimo cibo o assistenza, e comunque ricevono in base alla conoscenza. Trovarle non è facile, si deve ricorrere quasi sempre al passaparola, attraverso gli amici degli amici.

È così che si può incontrare Palma. Pensionata classe 1937, vive a Torino da quarantacinque anni. Originaria di Rosarno, abita nel quartiere Aeronautica, alle porte della stazione metro. 

Palma si rivela una donna di statura incredibilmente piccola con un sorriso buono ad accogliere: ci riceve nel suo appartamento, in una palazzina Atc degli anni Settanta. Vedova, ha iniziato a esercitare a venticinque anni.

Allora aspettavo il mio terzo figlio, e mia suocera mi disse che erano tutti così belli e sani che potevano essere docchiati, che nel nostro dialetto significa prendere il malocchio”  racconta Palma. “E così è stata lei a iniziarmi. Siamo andate in chiesa la notte di Natale, e mi ha spiegato come fare. Lei ai suoi tempi toglieva il malocchio con il grano. Prendeva cinque chicchi e li lasciava cadere per terra. A seconda della posizione poteva dire se una persona era docchiata oppure no. Io non avevo la possibilità di avere del grano, per cui da allora tolgo il malocchio con l’olio”. Infatti dal salotto, Palma ci fa accomodare in cucina. Come si diceva, sono tanti i motivi per contrarre la fattura: “La docchiatina, come la chiamiamo noi, si può prendere in diverse situazioni: basta far nascere l’invidia in altri da un momento di particolare felicità”, spiega Palma. “Per contagiare il malocchio non si ricorre a sortilegi veri e propri. È un pensiero che si trasforma in disturbi fastidiosi per il malcapitato”. 

Il momento tanto atteso è arrivato: dalla sua piccola cucina Palma prende con sé un piatto, dell’acqua, dell’olio e del sale. È giusto questo l’occorrente che serve. “Esistono addirittura alcune signore, racconta la toglimalocchio, che levano la fattura a distanza. Devono ricevere un capello, o un qualsiasi oggetto che ti appartenga, e poi fanno tutto al telefono”. Anche in questo caso non è una pratica che si svolge per soldi, ma solitamente per riconoscenza e legami affettivi. Nella cucina di Palma, tuttavia, è tempo di estirpare il malocchio: versa dapprima dell’acqua nel piatto, e poi getta dentro alcune gocce d’olio. “A seconda della forma che l’olio crea, si può dire se uno ha il malocchio oppure no. Può cadere e rimanere intatto nella goccia così come lo butti, e quindi significa che non si ha nulla, spiega la piccola santona,  oppure l’olio si può disperdere nell’acqua, e questo significa che il malocchio c’è, e da tempo. In quel caso si può arrivare a ripetere l’operazione fino a tre volte prima di estirparlo totalmente”. 

Poi, ripete a bassa voce le preghiere necessarie: per togliere il malocchio ci si rivolge addirittura alla Madonna, in una litania incomprensibile e continua. Palma getta poi del sale nel piatto, facendo tre volte il segno della croce. L’operazione è così conclusa. Chi scrive, ha contratto per esempio il malocchio di vecchia data, e sono appunto servite tre ripetizioni di olio nel piatto. Chi fotografa, invece, ha una leggera “docchiata” tolta nel giro di poco.

Una visita che apre mondi dimenticati, o nascosti. Questa strana esperienza ha un nome, che di primo acchito potrebbe spaventare: si tratta infatti di magia bianca. Nulla a che fare con streghe e pentoloni: sono formule e  invocazioni di natura religiosa, dove ogni malattia o pena ha un santo da invocare, con una litania continua da ripetere nelle occasioni che lo richiedono. Palma mostra un antico trattato a questo proposito, dove sono scritte alcune di queste saggezze. La premessa in questi fogli ingialliti riporta la seguente dicitura: “Sono pratiche che risalgono al Medioevo. La Chiesa in realtà non ha mai approvato questi rituali, ma pare le avesse ispirate per evitare che il popolo, per alleviare le sue pene, ricorresse alla magia nera o altri esercizi poco ortodossi”. E da qui, l’elenco di santi e angeli da invocare a seconda del caso: il marito che tradisce, il lavoro che non va come dovrebbe andare, un momento di depressione. Ciascun caso può essere guarito con l’invocazione incessante dello spirito celeste competente.

Le cose così come si sono svolte in questa cucina sono certo affascinanti, ma non sono state inventate da Palma: “Si tramandano dalla notte dei tempi, e vengono consegnate di generazione in generazione”. Un caso, quello del malocchio, che permette di aprire un almanacco dei rimedi dimenticato. “Le preghiere e queste usanze non si limitano infatti solo a questo, ma anche a cure in ogni settore, dall’amore non ricambiato al mal di gola”. 

Nel caso della faringite, infatti, si curerebbe passando il dito sul polso, e facendo subito dopo il segno della croce in bocca con il pollice piegato. I vermi nell’intestino si toglierebbero tagliando cinque pezzi di filo bianco in un bicchiere d’acqua, accompagnandosi con le apposite preghiere. Il braccio slogato, mettendo dell’uovo sbattuto con del cotone sulla ferita, e anche lì le solite preghiere. Un prontuario sempre più dimenticato, ma che non riguarda “ solo le regioni del sud Italia come verrebbe da pensare”, precisa Palma.  “Tutte le città e i paesi lontani da strutture sanitarie hanno sviluppato queste capacità, tramandandole nel tempo. Stupirà sapere che il Piemonte è uno dei principali territori dove queste pratiche si sono sviluppate”.

Anche se cambiare bandiera in questo caso non è così troppo difficile: “Sia ben chiaro che io mi rivolgo solo alle preghiere bianche, e quindi solo a invocazioni di santi della chiesa cattolica”, continua Palma, il tono questa volta serio e duro.  “Significa che io posso solo togliere fatture di natura lieve. Ma ci sono altre persone che invece il malocchio lo mettono, e svolgono altri tipi di sortilegi. Provocando in alcuni casi anche la morte. Seguono la magia nera e per questo nelle loro preghiere invocano il demonio. Molto spesso dietro ai casi di tombe profanate ci sono queste persone, che hanno bisogno di un pezzetto di chi non c’è più per mettersi in contatto con i morti. E quelli sono casi che io non so e non voglio sapere. Si tratta di veri e propri sortilegi, che possono provocare la febbre violenta, o la sofferenza”. In alcuni casi, si è costretti addirittura a ricorrere a un particolare rimedio che ha il caratteristico nome di “pane delle sette Grazie”: in chiesa, sette persone con il nome di Grazia imboccano con il pane il poverino recitando le apposite litanie. 

Crederci o non crederci? “Una volta c’era molto più ascolto per questo tipo di sapere”, aggiunge Palma. “Forse perché la televisione oggi ha ucciso tutta la nostra capacità di immaginazione, e di collegamento con le cose sovrannaturali”. Un settore che dopotutto non conosce crisi. “Non sono poche le persone che mi consigliano di aprirmi uno studio specializzato, conclude con un sorriso soddisfatto Palma, chissà che non succeda veramente un giorno o l’altro”. 



Nota

 

Senza voler mettere in dubbio la buona fede dell'intervistata, precisiamo che la nostra posizione in merito a tali pratiche è di deciso scetticismo.

Fatto salvo l'interesse sociale e antropologico di questi argomenti, riteniamo che dovrebbero rimanere nell'ambito del divertissement e considerati alla stregua dei racconti di fantasmi o della saga di Harry Potter. Niente di male nell'interessarsi di “magia” se si resta entro i confini di formulette inoffensive e la paccottiglia superstiziosa non pretende di sostituirsi alla medicina e se le pratiche “magiche” non diventano speculazione sulla vulnerabilità di persone con problemi e paure.

A proposito: non per fare i guastafeste, ma il comportamento dell'olio dipende da come è stato lavato il piatto.

Lucilla Cremoni

 

 

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Hanno collaborato a questo numero:

Nico Ivaldi

Gabriella Bernardi
Oscar Borgogno
Andrea Di Salvo
Alida Musumeci
Silvia Nugara
Gabriele Pieroni
Marina Rota
Irene Sibona
Federica Vivarelli
 

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