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Voleva fare la fioraia

 

 

Invece Elisa Galvagno è diventata una delle più quotate attrici emergenti del nostro teatro

 

Intervista di Nico Ivaldi


Foto di Diego BeltramoElisa Galvagno, credi che Beppe Fenoglio avrebbe apprezzato Come vivo acciaio, lo spettacolo teatrale tratto dal suo romanzo Una questione privata che tu e Andrea Bosca avete recentemente portato in scena?

Penso di sì” sospira la coautrice dell’allestimento drammaturgico dell’opera, nel cinquantennale della morte dello scrittore albese. “Noi ce l’abbiamo messa tutta, anche se non è stato facile”.

Immagino soprattutto per il fatto che in due avete interpretato sedici personaggi: una bella sfida…

È stato molto faticoso perché di tutti i personaggi dell’avventura fenogliana ognuno possiede un proprio carattere: partigiani, contadini, stranieri, vecchie, giovani fascisti, ragazzini. E non è stato nemmeno semplice restituire in scena le descrizioni precise e puntuali del grande scrittore”.

Ma com’è nata l’idea di portare in teatro le vicende del partigiano Milton, dell’amico di sempre Giorgio e della borghese Fulvia, la ragazza amata da entrambi?

Da tempo Andrea e io volevamo mettere in scena quest’opera incompiuta e nel linguaggio di Fenoglio abbiamo trovato molte caratteristiche che ci piacevano: la concretezza, la poesia,  le sfide interpretative, lo humour e la disperazione. Grazie all’Associazione Unesco della Provincia di Asti e alla Cassa di Risparmio di Asti abbiamo avuto la possibilità di creare un progetto unico, Le colline come vivo acciaio, che comprendeva spettacoli e laboratori, e infine di mettere in scena lo spettacolo vero e proprio”.

Un lavoro ripagato dal successo, a giudicare dai commenti entusiastici della critica.

Alla prima all’Alfieri di Asti c’erano settecento persone, il teatro era tutto pieno. È stata una botta di emozione pazzesca. Di recente siamo anche stati al Sociale di Alba, dove abbiamo ricevuto i complimenti di Margherita, la figlia di Fenoglio”.

Quello fra Elisa Galvagno e Andrea Bosca è un sodalizio ormai “vecchio” di anni, se di vecchio si può parlare trattandosi di due poco più che trentenni che provengono dalla stessa scuola del Teatro Stabile di Torino. Hanno anche fondato l’associazione culturale Dramelot, la cui prima produzione è stata appunto Come vivo acciaio.

Elisa Galvagno è un architetto mancato. Senza rimpianti.

Mi sono laureata più per dovere che per altro. Non mi sentivo portata per quel genere di lavoro, odio progettare. No, non poteva finire così la mia vita”.

Diciamo che ti ha salvata il teatro?

Senza il teatro sarei stata una persona tristissima, vuota. E poi avevo già deciso che avrei fatto l’attrice alle scuole superiori, durante un corso di teatro in Canada”.

Perché in Canada?

Avevo scelto di frequentare il quarto anno delle superiori nel Quebec, era una possibilità che mi offriva la scuola. Bellissima esperienza. Abbiamo addirittura messo in scena un piccolo spettacolo di venti minuti, scritto e realizzato da noi. Ritornata in Italia, sono entrata nella scuola del Teatro Stabile di Torino, dove ho avuto la fortuna di incontrare un grande insegnante come Mauro Avogadro, che ha creduto in me da subito. Gli devo tanto”.

Da piccola sei stata per caso una di quelle bambine che animavano le feste di compleanno, che recitavano, cantavano, presentavano?

No, ero l’opposto, ero molto timida. Ancora oggi non sono certo un’istriona, però quando salgo sul palco mi sento come protetta e riesco a tirare fuori tutto quello che ho dentro. Sul palco ti tuoi permettere di essere chiunque. Diventa catartico, il teatro, sia per chi lo guarda sia per chi lo fa, a patto che tu mantenga sempre lo spirito del gioco e non perda il controllo, perché stai facendo una cosa non vera”.

Elisa Galvagno è un’artista eclettica, nel suo curriculum spiccano partecipazioni a film, fiction, oltre a tanti spettacoli teatrali. A trentaquattro anni, la giovane aviglianese è già pronta per i grandi palcoscenici.

È vero che ho già fatto tanto, però il teatro per me resta l’attività che occupa di più il mio tempo, anche se fare televisione mi diverte molto. Non farei il cambio con nessun attore del piccolo schermo. La libertà che ti offre il teatro non te la dà nessuno”.

Cosa ti piace tanto del teatro?

Il fatto che è un lavoro di gruppo, perché anche nei monologhi non sei mai solo. Recitare completamente soli secondo me è una cosa sterile. Perfino durante le prove hai bisogno di un pubblico che ti ascolti. Quando abbiamo fatto Il bugiardo di Goldoni con l’Accademia dei Folli abbiamo fatto repliche di giorno per le scuole e di sera per gli altri. Ti accorgi di quanto siano diversi i due pubblici, i ragazzi ridevano per certe cose, gli adulti per altre”.

Secondo te, qual è il pubblico migliore?

Una delle mie maestre diceva sempre che per mettere alla prova uno spettacolo bisognava farlo davanti a un bambino, a un adulto e a uno straniero”.

Perché proprio lo straniero, secondo te?

Non lo so spiegare. Personalmente ho assistito al Carignano a un bellissimo Cechov in ungherese di tre ore, con sottotitoli. È stato entusiasmante comunque, anche se non ho capito una sola parola”.

Sicuro che non ci fosse da spararsi?

Foto di Diego Beltramo(Ride). “No, gli attori erano di una bravura incredibile. Se uno spettacolo ti piace, ti piace anche se non lo capisci. Ovviamente ti perdi molti dettagli, però l’impatto è forte”.

Quando scatta la molla che ti spinge a portare in scena uno spettacolo?

Per me, ripeto, l’importante è che sia un lavoro di gruppo, non importa se composto da due o più persone. È il farlo nascere in gruppo che mi appassiona. Per quanto riguarda la storia, deve scattare l’amore a prima vista. Come per un libro o per un film”.

Che donna sei nel privato?

Nel tempo libero mi piace cucire. Seguo anche dei corsi e una volta mi sono cucita abiti di scena che poi ho indossato. Certo non erano perfetti, ma a me piacevano. Naturalmente quando non recito studio, approfondisco temi sul teatro, nei tempi vuoti vado a cercare laboratori sul teatro fisico, per esempio, che a me interessa molto. Ho ripreso in mano Ibsen, che adoro”.

Elisa vive a Torino con due gatti. Ha un fidanzato italiano che fa il fotografo e vive in Germania. Non ti manca?

Certo, però per sentirmi meno sola quest’anno ho seguito dei corsi serali di charleston. Il mio purtroppo è un lavoro che non ha nessuna regolarità, anche perché spesso lavoro con i giovani”.

Sempre nel campo teatrale?

Sì. Da qualche anno collaboro con alcune scuole, attualmente con un liceo scientifico. Insieme con un mio compagno dello Stabile, Fabio Marchisio, studiamo con i ragazzi il teatro antico, sia greco sia latino. L’anno scorso abbiamo fatto Aristofane e quest’anno Euripide. Siamo da poco ritornati dalla Sicilia, dove i ragazzi hanno recitato nel teatro di Palazzolo Acreide e visitato il meraviglioso teatro antico di Siracusa, attraverso il quale è passata la storia del teatro”.

Esperienza positiva?

Di più. Abbiamo creato un bel gruppo di ragazzi affiatati dove non emarginiamo nessuno. Qui da noi, anche chi non va bene a scuola può trovare la sua rivalsa. I nostri studenti si applicano e si appassionano un sacco. Un papà mi ha confessato che sua figlia, timida in casa, quando è con noi si trasforma, diventa più spigliata, più sicura. La posso capire, è successo anche a me in Canada: il fatto è che senza i genitori sei più libero di esprimerti. A me i ragazzi piace trattarli da grandi, non alzo mai la voce per farmi ascoltare. E poi li trovo molto più adulti di quanto non siano. Dalla parte della regista ho imparato tantissime cose”.

Ecco, hai mai fatto regia?

Come vivo acciaio è anche regia”.

Se ti capitasse di andare a lavorare all’estero?

Andrei di corsa. Avevo già fatto un monologo su Pinocchio in francese al Festival di Avignone off. Era bello perché lavoravamo in un teatro ricavato in un garage; c’erano spettacoli dal mattino alla sera, e fra uno spettacolo e l’altro avevamo venti minuti di tempo per ricreare il nostro micro allestimento di scene. Frenetico ma fantastico. Io ho un debole per la città di Marsiglia, quest’anno città della cultura europea. Porterei al volo sul palco le storie di Jean-Claude Izzo. È uno scrittore che ti fa vivere la città. A me non piace il Pastis, ma quando lo leggo nei libro di Izzo me ne scolerei una bottiglia intera!”

Fra dieci anni dove ti immagini?

Naturalmente in scena. In tournée in giro per il mondo, con una grande compagnia. A portare in scena Rosmersholm di Ibsen, nella parte di Rebecca. Coproduzione italo-norvegese-francese. La prima la farei ad Avignone, poi mi sposterei a Edimburgo, e da qui farei nascere il progetto ‘Shakespeare in the Park’ a New York, ma solo quando sarò all’apice della carriera.”

Eppure qualcuno che ti conosce bene giura che da bambina volevi fare la fioraia.

È vero. Ero andata in vacanza con i miei in Olanda, forse dovevo ancora cominciare le elementari. Era piovuto per tutto il tempo. Ancora oggi, nei momenti di sconforto mi dico: sai che c’è, Elisa, che vado a fare la fioraia. È pur sempre una cosa creativa, bella. Ma poi ripenso al teatro e mi dico, come il cantante, che più bella cosa non c’è…”


 

Foto: Diego Beltramo






 

 

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 Hanno collaborato a questo numero:

Nico Ivaldi

Oscar Borgogno
Chiara Clausi
Lucilla Cremoni
Michela Ferrara
Elisa Viglio

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