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Quando la fabbrica era bella

 

Il Filatoio Rosso di Caraglio 


di Oscar Borgogno


EsternoBisognerebbe ricordare alla gente cos'è la bellezza, aiutarla a riconoscerla, a difenderla” consigliava il siciliano Peppino Impastato negli anni Settanta di fronte agli scempi della vorace espansione edilizia che in quel periodo iniziava a diffondersi in Italia. Un'ubriacatura che non si esaurirà col passare del tempo, tanto che ancora oggi (e grazie al cielo) sono sempre più numerose le voci che si levano contro questa frenetica ansia cementificatrice: basti pensare ai numerosi presidi del comitato “Salviamo il paesaggio” che si sono costituiti di recente in molte città italiane. 

La provincia Granda non fa eccezione, come evidenzia il documentario Langhe DOC: storie di eretici nell'Italia dei capannoni, realizzato dal regista Paolo Casalis e dal giornalista Federico Ferrero. In questo contesto la “fabbrica magnifica” situata a poca distanza dal centro del paese di Caraglio, sulla provinciale per Dronero e la Valle Maira, ad una decina di chilometri da Cuneo, rappresenta un vigoroso esempio di come i secoli precedenti alla rivoluzione industriale possano ancora fornire validi insegnamenti alla moderna architettura industriale. Si tratta del Filatoio Rosso, il più antico setificio ancora esistente in Europa. A prima vista sembra più un castello o una residenza aristocratica che uno dei principali centri di produzione della seta a livello continentale, quale fu per quasi due secoli. 

Un macchinario antico restauratoEdificato tra il 1676 e il 1678 per volontà del giovane Giovanni Girolamo Galleani, divenne subito il fiore all'occhiello dell'economia sabauda. Tuttavia, senza l'intervento iniziale del padre, Giovanni Francesco Galleani, la fortunata impresa di sviluppo industriale non sarebbe mai nata, o non avrebbe riscosso il medesimo successo. Esperto commerciante bolognese di probabili origini piemontesi specializzato nel mercato della seta, Giò (come fu soprannominato) conosceva molto bene i principali centri di produzione europei: Veneto, Toscana, Trentino e naturalmente il nord dell'Emilia e Bologna. 

Fu senz'altro questo ricco bagaglio d'esperienza a convincere nel 1663 il duca Carlo Emanuele II di Savoia ad assoldare il Galleani con l'obiettivo di far decollare la produzione serica piemontese. Al commerciante venne affidata la costruzione di un primo filatoio a Borgo Dora (Torino) e di un setificio (filanda, filatoio e laboratorio di tintura-tessitura) a Venaria Reale. Si trattò di un'abile e rischiosa operazione di spionaggio industriale, dal momento che i nuovi insediamenti avrebbero usufruito di tecnologie sviluppate a Bologna e, fino ad allora, severamente custodite dallo Stato Pontificio: i torcitoi circolari ad energia idraulica, in particolare, capaci di produrre un filo molto sottile e regolare chiamato “organzino di seta sovrafine”. 

RocchettiPer questo furto di proprietà intellettuale la città emiliana condannò a morte il commerciante, ma l'esecuzione della pena avvenne soltanto in effigie poiché Galleani ben si guardò dal rimettere ancora piede nella sua vecchia città. Nell'arco di dieci-quindici anni, i macchinari verranno ulteriormente migliorati, tanto da meritarsi il nome di “torcitoi alla piemontese”, e via via affiancati da dispositivi per la trattura (bacinelle) alle quali saranno apportate modifiche tecniche profondamente innovative, in parte destinate a durare sino alla seconda metà del '900. 

Ma perché il figlio primogenito Giovanni Girolamo, abilissimo e spregiudicato, scelse proprio il piccolo paese di Caraglio per edificarvi uno dei filatoi più all'avanguardia dell'epoca? Decisivi furono probabilmente la presenza di una sorgente d'acqua costante per tutto l'anno (la fontana di Celleri, con una portata di 20 litri al secondo) e la prossimità con le enormi distese di alberi di gelso e i numerosi centri di allevamento dei bachi da seta che da almeno due secoli caratterizzavano il Cuneese. 

L'edificio caragliese è organizzato intorno a due cortili interni, in cui si svolgevano le operazioni connesse alla trattura e torcitura del filato serico. Il progetto complessivo intendeva coniugare funzionalità e bellezza dei volumi affacciati, allora come oggi, sul cortile d'ingresso, terminanti all'estremità con torri-scala aggettanti di forma circolare. Gli ambienti di lavoro, sobri ed essenziali, circondavano i torcitoi meccanizzati collegati alle ruote idrauliche installate nel seminterrato e attivate dal canale derivato dalla sorgente naturale. Gli appartamenti trovavano posto ai lati, impreziositi all'interno da decorazioni in stucco e all'esterno da cornici dipinte o in marmorino graffito sul contorno delle finestre, indicazione eloquente di orgoglio per l'acquisizione dello status comitale. L'imprenditore Galleani fu uno dei primi in Italia ad edificare un “palazzo per farne un filatura da seta”: residenza padronale e azienda accorpate in un unico complesso. La balaustra di incoronamento sormontata da anfore in terracotta e incastonata nella facciata ha indotto gli esperti a presumere che gli autori del progetto facessero capo alla squadra degli architetti ducali del regno o addirittura al celebre Amedeo di Castellamonte.

Ruota idraullicaLa spaziosa sala di torcitura, articolata su due piani, ospitava quattro torcitoi alti sei metri, con un diametro di quattro: due per il filato, con 1296 fusi complessivi, e due per il torto con 768 fusi in totale, più innumerevoli serie di rotismi, ingranaggi, leve e tiranti. I macchinari furono progettati per produrre organzino destinato alle tessiture: un filato pregiato noto dal XIII secolo, molto richiesto perché robusto e lucente. 

Il Filatoio caragliese segnò l'inizio del setificio moderno dapprima in Piemonte poi, via via, nel resto del mondo. Galleani comprese il potenziale innovativo della trattura piemontese abbinata ad una tecnica di torcitura migliorata. Pur non sapendo nulla o quasi di trattura, afferrò subito che la tecnica piemontese della “incrociatura”, presente da molto tempo ma applicata solo sporadicamente, forniva un filo pulito superiore a quello bolognese. 

In pochi anni venne imbastito un corpus di norme di produzione, pratiche e lineari negli obiettivi e nell'applicazione, originando così il “setificio piemontese”. Il “Filatoio Rosso” (nome dovuto alla sua colorazione esterna nel corso dell'Ottocento), cambiò più volte proprietà e rimase produttivo sino al 1935-1937. Una volta chiuso divenne di caserma per gli alpini, con gli inevitabili interventi di trasformazione. Dopo l'8 settembre 1943 fu definitivamente abbandonato dai militari e adibito di volta in volta a balera, magazzini, abitazioni, officine, fino a rischiare il crollo. Solo negli anni '90 iniziò una seconda vita dell'antica fabbrica, anche grazie al Consiglio d'Europa  che riconobbe la struttura come “il più insigne monumento storico-culturale di archeologia industriale”. 

InternoNel 1999 fu fondato il Comitato per la rinascita del Filatoio Rosso; contemporaneamente, il Comune di Caraglio acquistò l'intera struttura e ne avviò il restauro grazie a contributi regionali, statali, di fondazioni bancarie e dell'Unione Europea. Nel 2001 il Comitato si trasformò in fondazione, presieduta da Luigi Galleani d'Agliano, discendente del fondatore. 

Da allora, gli ambienti restaurati ospitano mostre di arte contemporanea. Nel frattempo è affidata allo specialista Flavio Crippa la ricostruzione di due dei quattro torcitoi, perfettamente funzionanti e a dimensioni reali, andando a costituire la prima parte del Museo del Setificio Piemontese (già visitabile, che sarà ultimato nel corso del 2013). Il restauro certosino restituisce alla comunità un distillato di conoscenze ingegneristiche che opera una sintesi perfetta di efficienza e armoniosità. 

Purtroppo, a causa della scarsità di risorse economiche, anche la Fondazione Filatoio deve ingegnarsi nel trovare soluzioni che permettano una gestione economica dell'immensa struttura. Per questo il complesso ospita anche una sala conferenze per convegni e un magnifico salone locato per matrimoni e festeggiamenti.  



 

 

 

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intervista di Nico Ivaldi


Hanno collaborato a questo numero:

Nico Ivaldi

Gabriella Bernardi
Oscar Borgogno
Emanuele Franzoso 
Fabio Lepore 
Ugo Leo
Viviana Monastero
Gabriele Pieroni
Valentina Roberto
Federica Vivarelli

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