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Architetture della memoria


Nei sotterranei della Mole la mostra dedicata ad Amos Gitai

di Eleonora Chiais


GitaiGli inesplorati sotterranei del Museo del Cinema di Torino si mostrano al pubblico per la prima volta in occasione della manifestazione-evento di Amos Gitai. Le cantine della Mole Antonelliana sono infatti visitabili fino all'8 gennaio 2012 per “Architetture della Memoria” la mostra composta da retrospettive e filmati inediti del cineasta israeliano che, adeguandosi alla struttura che lo ospita, propone un arredamento inedito sui pilastri portanti del ben noto simbolo torinese per tracciare un percorso che giunga fino ai più reconditi meandri della storia della sua vita. 

Il protagonista in absentia della mostra è Munio Weinraub, il padre del regista, architetto del Bauhaus fuggito dal nazismo nel 1933. Il travagliato percorso paterno è descritto a partire da documenti storici dell’epoca fino a toccare ricordi intimi e giungere al componimento Lullaby to my Faher, sceneggiatura dell’ultima, omonima, fatica di Gitai ancora in fase di produzione. L’artista ripercorre i giorni bui della cacciata dalla nota scuola di architettura per poi soffermarsi sulle creazioni paterne, considerate cruciali nella creazione del disegno urbano dello stato di Israele. Per la prima volta si potrà assistere alla proiezione di alcuni stralci dell’ultimo film venendo trasportati in un’aula di tribunale proiettata oltre i pilastri della costruzione per trasmettere un senso di rigida chiusura nei sentimenti della madre all’indomani della prima parata nazista e ancora per le strade tra i suonatori di violino. E l’architettura, collegamento tra le due generazioni di uomini della famiglia Weinraub, ricopre un ruolo di primo piano. Insomma una raccolta di racconti senza peli sulla lingua com’è nello stile di Gitai che, dopo aver rischiato la vita quando durante la guerra del Kippur l’elicottero su cui viaggiava fu colpito e il suo compagno diviaggio fu decapitato da un missile siriano scoprì, nel linguaggio molto asciutto dell’esercito, che statisticamente il fatto di essere vivo era considerato un’eccezione e decise, come racconta in un’intervista con Stefano Curti, “di sfruttare questo errore statistico e di dire un paio di cose che avevo dentro e che mi turbavano”
Questa mostra ne è l’ennesima conferma e non tralascia la sua radice biografica e addirittura intimista. Per la prima volta in Italia “Architetture della Memoria” sbarca sotto la Mole, nel vero senso del termine, dopo le videoinstallazioni presentate nella base sottomarina di Bordeaux e al Palais de Tokyo di Parigi che però non hanno potuto 

Gitai

annoverare tra le proiezioni la “Buonanotte” targata 2011. È risaputo, d’altra parte, che tutte le esposizioni dell’autore sono studiate nei dettagli per fondersi con l’ambiente che le circonda e dunque non si possono dire allestite fino al taglio del nastro. Gitai lo confessa candidamente: “Prendo le decisioni definitive solo quando sono sul posto: faccio molte prove ma cambio fino all’ultimo minuto”. E lo sa bene chi ha potuto assistere alla pre-inaugurazione, quando l’autore si aggirava nella sala invocando cambiamenti, anche consistenti, dell’ultimo istante. 
Tutto questo, però, è la ricetta indispensabile per una prima assoluta che si è anche un’unica. Mettendo ben in evidenza la sua formazione da architetto, infatti, Gitai non nega la volontà che le proiezioni si fondano completamente con il supporto fisico offerto dagli spazi. Largo così a immagini in movimento che snobbano i classici schermi bianchi per trovare posto su pavimenti, porte, scale e pilastri. “Il pubblico, spiega il regista e curatore, dovrà vivere il proprio personale montaggio che sfugga alla linearità del film e della musica. Lo schermo sarà l’edificio stesso per evidenziare la centralità del contesto che, nei miei pensieri, si lega tanto alla fisicità della struttura quanto all’ambiente socio-politico in cui la struttura stessa si trova inserita”. Il percorso, poi, trae forza dalla memoria del luogo, nato com’è noto come sede della sinagoga cittadina, ma lascia i visitatori liberi di muoversi come preferiscono: non un tragitto prestabilito, quindi, ma la possibilità di ignorare una parte e concentrarsi su un’altra oppure di tornare al pezzo che colpisce di più. 
A spiegare le ragioni di una simile impostazione è lo stesso cineasta che sottolinea la volontà di proporre “un viaggio nel passato costellato, però, di nuove possibilità come quella di andare a ritroso e, giunti ad un bivio tornare indietro per percorrere una strada diversa”. Non del tutto senza regole, però, ed è a questo che servono i documenti esposti: una sorta di guida turistica tra la vita, le opere e il passato di Gitai. 
Unico passaggio obbligato dell’allestimento la scala per la risalita conclusiva che, attraverso i gradini che collegano la cantina con la parte alta della Mole Antonelliana, propone una scena tratta da Free Zone, premiato nel 2005 al Festival di Cannes per il ruolo di Hanna Laszlo miglior attrice, in cui Natalie Portman propone una versione di “Alla fiera dell’Est”, canzone che (come  alcuni sanno e molti scoprono) rivendica antiche radici yiddish. I tre temi tanto cari al regista - memoria, identità ed esilio - sono chiamati a ricoprire un ruolo salvifico di fuoriuscita dal sottosuolo.
L’omaggio ad Amos Gitai da parte del capoluogo piemontese non si conclude qui. Il cinema Massimo ha offerto un’ampia retrospettiva, che si è conclusa il 18 novembre, con proiezioni delle pellicole più celebri, da Carmel a Kippur, con un salto temporale concepito per offrire al pubblico sabaudo diciotto lungometraggi, alcuni dei quali ancora inediti in Italia. A coronamento della mostra verrà proposta la monografia Amos Gitai. Architetture della memoria che comprende testi critici a cura di Jean-Michel Frodon (il produttore ufficiale del regista), alcuni interventi firmati dallo stesso cineasta e una filmografia finamente completa a cura di Grazia Paganelli corredata da immagini per lo più inedite. Partenza dunque da Arts and Crafts and Technology del 1972 per arrivare alle Roses à credit del 2010, senza tralasciare la nota trilogia sulle città (Tel Aviv, Gerusalemme e Haifa) iniziata nel 1995, e l’ancora inedito Lullaby to My Father, protagonista della mostra torinese, a proposito della fuga per la salvezza ambientata tra Munio, la Svizzera e la Palestina. 

 

 

 

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Hanno collaborato a questo numero:

Nico Ivaldi

Roberta Arias
Gabriella Bernardi
Eleonora Chiais
Michela Damasco
Giulia Dellepiane
Ilario Metelys
Marina Rota
Sabrina Roglio

 

 

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