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Donne fuori dagli schemi

 

 

 

La caposquadra mesopotamica e la traduttrice di tavolette d'argilla


di Gabriella Bernardi 


Aglaonice, una maga della Tessaglia o forse solo una donna che sapeva come predire, con calcoli ignoti ai più, le eclissi di Sole e di Luna.

Gina Lombroso, figlia del famoso Cesare, sua segretaria dall’età di 12 anni. Ma solo dopo che ebbe conseguito due lauree il padre mise da parte le sue supposizioni di inferiorità intellettuale  dell’universo femminile. 

Ipparete, donna altolocata di Atene che tentò di divorziare da Alcibiade e forse per questo ci rimise la vita. 

Questi sono solo alcuni nomi presentati nella sala di Palazzo d’Azeglio a Torino nei due giorni di seminario organizzato a gennaio dal Dipartimento di Studi Storici e dal gruppo di ricerca interdisciplinare “Diverse in corpo e in spirito”. Qui, ospiti della Fondazione Einaudi, hanno ripreso vita donne note e meno note del passato, altolocate o popolane, ma tutte accomunate dalla caratteristica di essere fuori dalle convenzioni imposte dall’epoca in cui vissero. 

In due giorni le ore letteralmente sono volate, e sono stati affrontati fatti storici poco noti o mai studiati, pregiudizi perpetuatisi anche fino a tempi recenti o stratagemmi per aggirare norme dell’epoca. Le protagoniste coinvolte spaziavano dal bacino europeo mediterraneo al continente africano fino alla zona mediorientale. Dalle medium dell’Africa dei grandi laghi alle matrone ribelli a Roma; dalle levatrici che procurarono aborti nell’epoca fascista alle regine ittite esiliate.

E uno dei nomi più antichi a riemergere dal lontanissimo passato è quello di Nippuritu, fra i pochi femminili iscritto su tavolette di argilla provenienti dall’area di Nippur a sud di Babilonia, e comparso in una ricerca sul regno Cassita (XIII secolo a.C.) effettuata da Elena Devecchi dell’Università di Torino.

La incontro durante un intervallo, intenta a fotografare la sinuosa scala spiraleggiante del palazzo, e per comprendere meglio quello che la decifrazione delle tavolette tramanda fino a noi e la sua particolarissima professione, approfitto della sua disponibilità.

La sua professione di traduttrice di tavolette di argilla la fa sentire più una storica o un’archeologa? 

“Sicuramente mi sento più una storica e filologa che un’archeologa. Ho studiato sia storia che archeologia e ho avuto la fortuna di partecipare a scavi in Siria, ma ho capito piuttosto presto che mi trovavo più a mio agio di fronte a una tavoletta cuneiforme che di fronte a una stratigrafia archeologica”. 

Ha mai partecipato ad uno scavo o visitato quei luoghi? 

“Ho viaggiato, sia per lavoro che come turista, in quasi tutto il Vicino e Medio Oriente, ma non sono ancora stata in Iraq: spero di riuscirci presto”.

Viene spontaneo chiedersi come nasce la sua professione per la storia antica e soprattutto la formazione che l’ha portata all’Università di Torino passando per altri Istituti italiani ed esteri. Tra l’altro a scuola ha avuto la fortuna di incontrare insegnanti che le hanno fatto apprezzare una materia ricordata dai più come noiosa?

Per me la storia, sia quella antica sia quella più recente, non è mai stata noiosa, ma non saprei dirle se questo sia dovuto a una predisposizione naturale per la materia o alla bravura degli insegnanti incontrati a scuola. Probabilmente il connubio di entrambi i fattori. Però sono arrivata a occuparmi di Vicino Oriente antico un po’ per caso. Quando, dopo il liceo, mi sono iscritta a Conservazione dei Beni Culturali a Venezia, non avevo le idee molto chiare su cosa volessi fare, finché ho scoperto i corsi di storia e archeologia del Vicino Oriente antico: quella è stata una vera e propria folgorazione, perché avevo trovato il modo di conciliare l’interesse per il mondo antico con quello, nato più tardi, per i paesi vicino-orientali”

Spesso nel mondo della ricerca si parla di precari e di cervelli in fuga. Nel suo ambito si è dovuta fronteggiare con questi problemi? Quanto una passione è in grado di superare ostacoli sul proprio cammino lavorativo?

Sì, sono stata anch’io un cervello in fuga. Dopo il dottorato, conseguito a Venezia, ho fatto ricerca per un anno in Belgio e per quasi sei anni in Germania. Sono tornata in Italia poco meno di un anno fa. Andare all’estero dopo il dottorato è stata una scelta obbligata, che però non ho vissuto come un sacrificio. Avevo già passato dei periodi in Germania durante gli studi e sapevo che era un’opportunità per arricchire le mie conoscenze e fare ricerca ad altissimi livelli. Il precariato invece è un altro discorso: all’inizio lo si mette in conto, si sa che è una fase inevitabile della carriera accademica, ma dopo un po’ di anni comincia a pesare e ci si chiede se mai arriverà il tanto agognato posto fisso. In questo la passione aiuta sicuramente a superare le difficoltà e le incertezze”

Attualmente di cosa si sta occupando? E per tutti noi profani, come si svolge la sua giornata tipo?

“Sto lavorando alla pubblicazione di tavolette cuneiformi provenienti da un centro in Mesopotamia meridionale e risalenti al XIII secolo a.C. Si tratta per lo più di testi amministrativi, che sono la materia prima da cui partire per studiare l’economia e la società babilonesi durante il regno cassita, un ambito delle ricerche orientalistiche finora molto trascurato. Farne l’edizione filologica ha voluto dire innanzitutto passare alcuni mesi negli Stati Uniti, presso la Cornell University, dove sono conservati. Dopo la prima fase di decifrazione, bisogna tradurli e interpretarli, capire quale fosse il loro contesto di origine e la loro funzione nel sistema burocratico ed economico da cui sono stati prodotti. Concretamente, la mia giornata prevede molte ore al computer e in biblioteca”.

Durante il seminario, dalle tavolette amministrative proveniente dall’area di Nippur è emersa la figura di Nippuritu, una donna caposquadra, incaricata di distribuire il salario dei suoi lavoranti costituito da orzo o dalla distribuzione di questo destinato alla produzione di birra. 

Solo il venti per cento del totale dei testi babilonesi di questo periodo è stato pubblicato, e Nippuritu è uno dei pochi nomi femminili presenti, e con un incarico di responsabilità proseguito per lungo tempo. Che idea si è fatta dell’organizzazione sociale di questo lontano passato e del lavoro che svolgeva?

“Era un sistema economico e sociale estremamente complesso e ben organizzato. I testi che sto studiando documentano soprattutto le attività relative all’agricoltura e alla gestione dei prodotti agricoli: semina, raccolto, immagazzinamento e lavorazione dei cereali, allevamento e cura degli animali, scavo di canali per l’irrigazione, distribuzione di razioni ai lavoratori. Le donne erano coinvolte in quasi tutti questi passaggi, ma solo raramente raggiungevano delle posizioni di responsabilità e i casi come quello di Nippuritu sono delle eccezioni”.

Nel suo campo quante professioniste come lei ci sono in Italia o nel mondo? È un caso come Nippuritu? Quali sono gli stereotipi o i luoghi comuni della sua professione?

Nel mio campo, e in generale nelle discipline umanistiche, ci sono molte donne, sia in Italia che all’estero, e direi che oggi abbiamo le stesse opportunità degli uomini di fare carriera nel mondo accademico

Che effetto fa tenere fra le mani una tavoletta di argilla di millenni fa? Si ha paura di danneggiarle? Nel tradurre certi testi si crea un legame empatico con i protagonisti o i realizzatori nonostante siano così lontani nel tempo?

“È una sensazione molto particolare, un misto di meraviglia e timore reverenziale, ma anche di distacco scientifico nei confronti degli oggetti che studio. E sì, per quanto possa sembrare strano, talvolta si crea una sorta di legame con i protagonisti dei testi, che in un certo senso diventano persone “di famiglia” anche solo per il fatto che si passano molte ore insieme. E poi ci sono i casi in cui, quando faccio fatica a decifrare una tavoletta, vorrei avere al mio fianco lo scriba che la aveva redatta per chiedergli che cosa volesse dire!”

È una giovane professionista, quindi nel futuro cosa si aspetta o cosa le piacerebbe scoprire nel suo ambito?  Per lei quali sono i momenti più gratificanti, al di là delle pubblicazioni accademiche?

La pubblicazione di questi testi è solo il primo passo di uno studio più ampio che sicuramente mi occuperà ancora per qualche anno. Poi si vedrà, spesso le ricerche e le collaborazioni con altri colleghi prendono direzioni inaspettate, e anche questo è il bello del mio lavoro. Al di là della ricerca, trovo grande gratificazione nell’insegnamento. Comunicare le mie conoscenze e i risultati delle mie ricerche è una parte fondamentale del mio lavoro, che faccio volentieri e da cui traggo energia e ispirazione per nuovi studi . Un’ambizione, o meglio una speranza, è quella di avere sempre molti studenti curiosi e appassionati”.


 

 

 

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Hanno collaborato a questo numero:

Nico Ivaldi

Gabriella Bernardi
Federico Carle
Andrea Di Salvo
Alice Ferraris
Piervittorio Formichetti
Vanessa Righettoni

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