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Il Carnevale nelle tradizioni piemontesi

 

 

 

Tra simboli arcaici e divertimento puro


di Eleonora Rossero


Il Carnevale è, nelle sue versioni più popolari, una festa di origini antichissime che si ritrova in tutte le tradizioni europee. La sua caratteristica più evidente è quella di essere, nelle sue innumerevoli varianti, un periodo dell’anno straordinario, in cui l’ordine quotidiano viene sconvolto da mascherate spesso animalesche, dall’ingresso nel centro abitato di esseri che mirano a creare scompiglio, dalle fattezze mostruose e al tempo stesso buffe. Alle parate di questi personaggi primordiali si affiancano spesso riti altamente simbolici, volti a rappresentare un momento di passaggio: la vita e la morte, l’avvicendarsi delle stagioni, il ritorno della terra alla fertilità, il vecchio che cede il passo al nuovo, sono solo alcuni dei cambiamenti che danze, combattimenti, falò carnevaleschi mirano a simboleggiare. 

Tali tradizioni si ritrovano diffusamente anche in Italia e in particolar modo nelle zone montane della penisola, dove il contatto diretto con i ritmi della natura ha permesso a questi usi di conservare almeno in parte il loro significato. Il Piemonte è un territorio particolarmente ricco di manifestazioni di questo genere, che hanno luogo tanto nelle città (il più famoso è sicuramente il Carnevale di Ivrea con la sua celebre battaglia delle arance) quanto nei più piccoli paesi delle valli alpine. 

L’arrivo della primavera è l’evento principale che accomuna queste usanze, che non a caso si svolgono nei mesi di febbraio e di marzo. La fine dell’inverno e il ritorno della terra alla fertilità, particolarmente importanti nelle aree contadine, sono celebrati attraverso riti che utilizzano fiori, frutti, colori vivaci. A Rocca Grimalda, in provincia di Alessandria, il Carnevale è celebrato con la  Lachera, un corteo nuziale rumoroso, colorato, fiorito e danzante che sfila tra la gente come rito di buon auspicio per la bella stagione alle porte. A Bagnasco, in provincia di Cuneo, tutti questi elementi si fondono nel Bal do Sabre, una danza altamente allegorica in cui sono coinvolti degli Spadonari (dodici come i mesi dell’anno), un Condannato (che simbolicamente muore e poi si risveglia come la natura a primavera), un Giullare (il cui spirito permette di restituire la vita al Condannato), un albero attorno al quale vengono avvolti (dodici!) nastri colorati propiziatori di una stagione fertile e rigogliosa. 

Altrove tale episodio di morte e rinascita è rappresentato dal Carnevale stesso: a Bardonecchia è la maschera del Giudice a stabilire la condanna di un fantoccio che rappresenta il Carnevale, di cui vengono elencati i buffi reati e che viene poi bruciato in un rogo sulla pubblica piazza, mentre i cittadini festeggiano la fine dell’inverno in un girotondo attorno al falò. A Condove, in Val di Susa, in occasione del Carnevale del Lajetto, è invece El Pajass che, tagliando la testa a un gallo, decreta la morte del Carnevale e quindi la fine dell’inverno, dopo una sfilata per le strade del paese che vede le maschere dei Vecchi e delle Vecchie avvicendarsi in scherzi e buffonate di ogni genere.

L’animale è un elemento ricorrente all’interno delle manifestazioni e spesso viene impersonato da uomini mascherati con pellicce, corna, artigli, che spaventano e scherzano con gli abitanti del paese emettendo ruggiti e urla gutturali. Gli animali più presenti sono il lupo (è il caso del Carnevale di Chianale, in provincia di Cuneo) e soprattutto l’orso, abitante alpino che racchiude in sé le fasi della natura così centrali nel Carnevale: il letargo in cui l’animale cade annualmente termina infatti con la fine della stagione invernale e rappresenta un ritorno alla vita al pari delle gemme sui rami spogli degli alberi. 

Questa figura si ritrova nel Carnevale dell’Orso di Segale di Valdieri, in provincia di Cuneo: l’uomo che lo impersona, vestito di paglia di segale, corre per le vie del paese fuggendo dai domatori, importunando le donne e spaventando i bambini che incontra sul proprio cammino; ma inevitabilmente, così come l’inverno, la sua fuga è destinata ad avere fine e al rallentare della sua corsa egli cessa di fare paura, fino a cadere nelle mani dei suoi inseguitori che lo danno alle fiamme sancendo il ritorno alla vita. 

Anche a Mompantero, e più precisamente nella frazione di Urbiano, in Val di Susa, è l’orso il protagonista della festa, che non a caso prende il nome di Fora l’Ours: l’animale è l’obiettivo di una finta battuta di caccia a cui alcuni abitanti danno inizio di sera, il primo sabato di febbraio, dopo essersi rifocillarci per le vie del paese; il giorno successivo è quello del “ballo dell’orso” in quanto l’animale, impersonato da un uomo mascherato e ammansito grazie a generose sorsate di vino, viene scortato sino nel centro abitato e fatto addirittura ballare con le più belle ragazze del luogo. Anche in questo caso si può notare l’intento di rendere inoffensiva una creatura pericolosa che, parallelamente all’inverno, finisce per cedere il passo alla festa, all’allegria e quindi alla vita. 

Un ulteriore esempio di come la figura dell’orso sia radicata nelle tradizioni alpine piemontesi è dato dal Carnevale dell’Orso di Meliga di Cunico, in provincia di Asti. Qui all’elemento animale si aggiunge quello vegetale, in quanto il costume dell’orso è realizzato con foglie di meliga essiccate dalle quali prende il nome la festa stessa; tale dettaglio rivela un forte legame con la tradizioni contadine locali poiché il materasso sul quale solevano dormire i contadini del luogo era per l’appunto fatto di sfojass, cioè di pagliericcio. Anche in questo caso il copione prevede che l’orso sia inseguito e fugga per le strade del paese sino ad essere catturato, ammansito e coinvolto in una danza collettiva; al termine della festa viene lasciato libero e fa ritorno al mondo selvatico dal quale proviene, lasciando però dietro di sé la propria coda - alcune foglie di meliga che vengono simbolicamente bruciate in un falò. La tradizione in questo caso vuole che l’orso, uscendo dalla propria tana il primo febbraio, interpreti la posizione della luna al fine di stabilire se l’arrivo della primavera sia imminente o se la stagione fredda si protrarrà ancora; “Orso marino, fai sentire la tua voce!” è l’esclamazione con cui l’animale viene accolto dal pubblico, con riferimento al marin, il vento freddo che indica che l’inverno non è ancora terminato.

Il Carnevale è dunque una tradizione tuttora presente, di origini precristiane ma talvolta ibridata con elementi religiosi (per esempio la Festa dell’Orso di Mompantero di cui si è parlato coincide anche con le festività in onore di Santa Brigida). 

In alcuni dei luoghi citati l’usanza è stata recuperata e riproposta in tempi recenti, basandosi su testimonianze orali e reperti storici; tale riscoperta si deve a progetti culturali come la Residenza Multidisciplinare “Da Monferrato al Po” per quanto riguarda Cunico e l’associazione “Le Barbuire” nel caso di Condove. 

Il mutare del tempo ha indubbiamente allontanato la realtà odierna da quella passata, scandita dai ritmi della natura e caratterizzata da una maggior consapevolezza del mondo non-umano, animale e vegetale, che ci circonda; il recupero delle tradizioni permette tuttavia di mantenere un legame con la storia dei paesi piemontesi ed alpini, riuscendo ancora a donare ai suoi abitanti momenti di festa, di spensieratezza e di quel disordine creativo del Carnevale che tanto ci è familiare.


Questo articolo ha ricevuto una menzione alla IX edizione del Premio Piemonte Mese, Sezione Cultura

 

 

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Hanno collaborato a questo numero:

Nico Ivaldi

Gabriella Bernardi
Federico Carle
Marco Doddis
Giulia Ferraris
Alessandro Granatelli e Tiziano F. Ottobrini
Eleonora Rossero
Irene Sibona

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