Riccardo Nervo, artista timido
Intervista di Nico Ivaldi
Mai visto un artista timido come Riccardo Nervo. Così timido che, pur di non metterci la faccia, per far circolare i suoi disegni in passato si è servito della tecnica del drawing-crossing.
“Lasciavo i miei lavori dove mi capitava, perfino sotto le serrande dentro i negozi. Alle volte con un numero di telefono allegato. Ricordo con piacere la telefonata di una ragazza che aveva trovato un mio disegno: aveva chiamato perché voleva ringraziarmi. Quell’episodio le aveva fatto iniziare la giornata con un sorriso”.
Era timidezza o proprio non desideravi comparire?
“Prima ancora che far riconoscere me stesso, ho sempre desiderato far riconoscere la mia arte”.
Come ti era venuto in mente il drawing-crossing?
“L’idea mi era arrivata da un ragazzo di Philadelphia con il quale corrispondevo. Anche lui lasciava i suoi lavori in giro per la città. Pensa che questa situazione mi aveva preso la mano al punto che disseminavo di disegni anche Brusasco, la cittadina in cui vivo. Un giorno qualcuno sporse denuncia contro ignoti perché i personaggi delle mie opere erano stati scambiati per simboli satanici. Mi presentai dal sindaco e confessai. Lui sorridendo aprì una cassetta e tirò fuori tutti i miei disegni, non ricordavo nemmeno più che fossero così tanti..”
Riccardo Nervo, cinquantadue anni, ha cominciato a disegnare quasi per caso, dopo aver realizzato che non sarebbe mai diventato un chitarrista rock. Ancora oggi la musica permea la sua esistenza più di quanto si possa immaginare. E soprattutto ne anestetizza le giornate, da oltre due anni vuote di un lavoro “ufficiale”.
“Per me disegnare è altamente terapeutico. Mi aiutava prima perché mi permetteva di scaricare la tensione dopo dodici ore in azienda. Oggi mi serve per non impazzire, da quando ho perso il lavoro”.
Perché nei tuoi disegni ci sono grandi occhi?
“Gli occhi grandi sono un po’ il mio marchio di fabbrica, la mia finestra verso il mondo, il mio modo di vedere le cose”.
Un altro elemento che ti caratterizza sono i materiali utilizzati, rigorosamente di scarto.
“Mi sento più libero a lavorare su pezzi di carta di poco prezzo, su cartoncini recuperati, spartiti musicali, fogli di qualsiasi tipo. Mi piace l’idea di ridare vita a materiali morti. E poi la tela bianca mi manda in paranoia!”
Dopo anni passati nell’anonimato artistico, la prima occasione per farsi conoscere arriva con la terza edizione di Paratissima, nella quale Nervo ha lavorato in una cella dell’ex carcere torinese delle Nuove.
“Stavo lì come un recluso, disegnavo e vedevo passare un sacco di gente, ne ascoltavo i commenti, fortunatamente positivi. Quell’esperienza mi ha dato il coraggio necessario per uscire allo scoperto”.
E poi cosa è successo?
“Ho partecipato alle edizioni successive di Paratissima, e lasciato qualche segno nell’ex fabbrica di via Foggia 201, i cui spazi sono stati riempiti da murales di alcuni street-artist di livello”.
Che rapporto c’è fra te e la street-art?
“Seguo questo movimento dalla fine degli anni ’Novanta. Non mi considero uno street-artist, anche se anch’io ho con loro ho in comune l’uso della strada, pur se con modalità diverse”.
Riccardo Nervo lo capisci subito che non è uno da gallerie, vernissage, inviti, critici, ecc. E ce ne spiega il motivo.
“A me non interessa tanto la mostra di per sé, mi interessa il coinvolgimento delle persone. Recentemente a una festa privata di artisti, dove ho portato i miei disegni, due signori mi chiedevano perché lavorassi solo in bianco e nero e non a colori. Allora ho preso un foglio di carta, gli ho fatto lo stesso disegno col pennarello rosso e quello nero. E quindi ho chiesto se e che tipo di differenze avessero trovato. La risposta di quelle persone ha iniziato a discussione molto interessante. Ed è ciò che più mi attira nel fare arte: che stando a contatto con la gente anche una banalità del tipo perché usi un pennarello nero piuttosto che un altro diventa oggetto di chiacchierata per un’ora”.
La conclusione naturale di questo lento processo di “visibilità” è stato per Nervo il ProgettoA4, un’operazione al centro della quale c’era la vendita di suoi disegni originali e l’acquisto subordinato a due sole condizioni: l’acquirente decideva “al buio” il prezzo, mentre l’artista quale opera spedire. Un’iniziativa che ha funzionato a distanza, via posta, ma che ha avvicinato l’acquirente – che si sente spettatore, osservatore, appassionato o “sfidante” – e l’artista, in un nuovo rapporto di fiducia, attesa, curiosità e condivisione. Di empatia solo superficialmente “anonima”.
Spiega Riccardo. “So di persone che volevano partecipare al progetto, ma avevano dubbi sul valore monetario da dare all’arte, soprattutto se ad occhi chiusi. Siamo abituati al fatto che ogni cosa ha un prezzo, poi valutiamo se possiamo permettercela. Con il ProgettoA4 io cercavo condivisione. Cercavo persone che si prendessero la briga di mettere tot euro in una busta e attendere. Desideravo, prima di tutto, vedere persone coinvolte, che avessero ancora voglia di stupirsi invece di tirare fuori, anonimamente, la carta di credito. Progetto A4 non è stato un gioco, ma un’operazione artistica, che i soldi hanno aiutato a tenere viva”.
Che risposte hai ricevuto?
“A nessuno ho mai spedito meno di tre, quattro disegni. Mi hanno scritto dalla Svizzera e da molte città dall’Italia. Mi mandavano chi cinque, chi dieci, chi venti euro. Ho voluto sfruttare la posta ordinaria ed è andata male, perché molte buste sono andate perdute. Io però sulla fiducia ho voluto lo stesso mandare i disegni a chi mi aveva detto di aver spedito i soldi”.
Artista timido, si è detto, Riccardo Nervo. Disposto però ad accettare provocazioni in nome dell’arte, quando l’arte è esperienza e non nozione, è innovazione, sperimentazione, libera creatività che si muove in territori spesso inesplorati.
Su queste basi, pochi mesi fa Nervo ha raccolto la sfida della galleria torinese, Square 23, con il progetto Questo Square non è un albergo, arte in gabbia con 72 ore non-stop di mostra-performance, chiuso tra le quattro pareti della galleria, sorvegliato dalle webcam e guardato a vista dagli spettatori. Qui Nervo ha mangiato, dormito e, soprattutto, ha riempito le pareti bianche della galleria con le sue opere.
“Ho creato la mostra mano a mano che facevo disegni. Non era proprio una clausura perché i curiosi si fermavano, aprivi la porta e ti mettevi a chiacchierare con loro: ho incontrato persone eleganti, studenti, gente di tutti i giorni. Abbiamo anche attivato la diretta streaming, che è servita alla gente a collegarsi mentre disegnavo. Tre giorni sono tanti, è stata una lunga maratona. Il primo giorno c’era tanto entusiasmo, poi è subentrata la stanchezza. Avrò fatto una sessantina di disegni, l’obiettivo era farne cento, però alla fine ho privilegiato il contatto con il pubblico”.
E adesso che progetti hai?
“Questo”, dice Nervo aprendo una cartellina e tirando fuori sorprendenti e vivacissimi disegni ispirati ai suoi idoli musicali, da David Bowie agli Stones, dai Velvet Underground ai Doors, da Peter Gabriel ai Talking Heads. “Ogni disegno è un messaggio che racconta delle storie attraverso frasi prese da libri e da canzoni e un omaggio ai miei miti musicali e a quelli artistici. Di questi ultimi ho cercato di sintetizzare il tratto semplice di Keith Haring, lo stile selvaggio di Jean-Michel Basquiat e il contenuto pubblicitario di Andy Warhol”.
Haring, Basquiat e Warhol: cosucce, insomma. Da questo capite anche voi che ormai Riccardo Nervo si è lasciato alle spalle i tempi lontani in cui tirava i disegni e nascondeva la mano, ed è pronto, finalmente, per mostrarsi nudo al mondo.