Simona Colonna e Chisciotte: per il mondo a raccontare il Piemonte in musica
Intervista di Nico Ivaldi
Benvenuti nel favoloso mondo di Simona Colonna, musicista curiosa, felice ed eclettica, capace di spaziare dal proprio repertorio all’arrangiamento di evergreen della canzone nostrana, dalla rivisitazione di un classico della lotta partigiana come “Bella Ciao” all’interpretazione di canzoni in lingua piemontese, la sua lingua, vincendo, con “Masca vola via” (brano dedicato alle streghe del folklore regionale) l’edizione 2011 del Festival di Biella. Particolare non di poco conto: ad accompagnarla nelle sue sgroppate musicali c’è sempre il fido Chisciotte, il suo violoncello, con cui Simona ha dato vita a un’accoppiata unica nel panorama musicale italiano.
“Con un pizzico di sano egoismo e tanta umiltà ed ambizione, per ora posso proprio dire di essere la sola in Italia”, spiega la Colonna. “E forse addirittura in giro per il mondo non esiste nulla del genere. Ho messo insieme semplicemente due voci: una umana e una strumentale-umana. Il “Duoinuno”. Per me il violoncello è la parte umana dell’orchestra e la sua versatilità permette di praticare ambiziose sperimentazioni, grandi esperimenti non soltanto sonori, ma anche e soprattutto ritmici. Suonare un tempo e cantarne un altro in contemporanea è davvero divertente. Il mio è una sorta di gioco affascinante”.
Tanta roba per un’artista ancora giovane (è nata nel 1971) partita dalla banda musicale di Baldissero d’Alba, il paese in cui è nata, dove suonava il rullante e teneva, sostiene, “magistralmente il passo alle majorettes”. E poi cantava con il papà canzoni degli anni '40 e '50, impadronendosi giorno dopo giorno del mestiere. Ma c’è ben altro nel suo background giovanile, come ricorda Simona.
“La maestra della scuola materna mi metteva in piedi sul davanzale della finestra per farmi cantare Ramaya di Afric Simone, con una matita in mano che serviva da microfono. Più o meno quello che faceva in quello stesso periodo Laura Pausini…” (come dire che il dinoccolato artista africano ha ispirato più di un’artista? n.d.s.).
Dunque all’inizio c’era Simona che canta Simone: “Ramaya Bokuko Ramaya abantu Ramaya / Miranda Tumbala Ho Ho Ho / Ramaya Bokuko Ramaya abantu / Ramaya Mitumbala”. Poi arrivano il diploma in flauto e quello in violoncello (dopo una passione giovanile, poi abbandonata, per la fisarmonica) e la ragazza che suonava il rullante nella banda del paese diventa concertista e insegnante.
“Per molti anni mi sono divisa tra la cattedra di flauto traverso alla Scuola Musicale di Alba e i concerti in giro per il mondo. Non ti dico i salti mortali che facevo per essere presente ovunque. Il mio carburante è sempre stato la passione e forse la vocazione per l’insegnamento, e quando ad un certo momento, quattro anni fa, ho dovuto rinunciare definitivamente ai miei allievi, si è trattato di una scelta dolorosa”.
Però con il tuo “Duoinuno” le soddisfazioni non ti mancano…
“Con il mio violoncello attraverso generi e quindi armonizzazioni e arrangiamenti differenti a seconda di cosa vado a proporre. Tra standard jazz, repertorio cantautoriale italiano, tra successi internazionali e popolari folk io mi racconto e canto suonando con il mio fido Chisciotte”.
Simona viaggia e suona. Europa, soprattutto quella del Nord: Danimarca, Norvegia, Germania Olanda, Belgio e Francia. E poi Cina e Canada.
“Sono andata via dall’Italia anche perché da noi non è sempre semplice sentirsi valorizzati o trovare la strada per potersi proporre; a volte l’erba del vicino è più verde e dunque serve partire per essere considerati dalla proprio terra di origine. Un posto che mi ha lasciato poco? La Cina”, dice. “Ci sono stata tre settimane, ma dopo i primi giorni non vedevo l’ora di tornare a casa. Ho fatto fatica a stare là, a respirarne l’aria, gli orchestrali non ti guardavano mai negli occhi e per me che la musica è soprattutto comunicazione è stata la morte artistica. Note perfette e intonate, certo, ma nessun rapporto umano”.
In Canada, invece, dove Simona ha vissuto per qualche tempo, è nato il suo primo disco.
“È arrivato dopo venti anni di carriera, forse tardi, ma sono soddisfatta così. L’esperienza canadese mi ha regalato il disco e un’esperienza matrimoniale, poi fallita, ma non mi lamento. Ho imparato molte cose anche di me stessa che non conoscevo”.
Ripreso l’aereo per casa, Simona Colonna torna a confrontarsi con la realtà italiana.
“L’importanza di essere artista, secondo me, sta anche nella capacità di non perdere le nostre radici che raccontano la verità su chi e cosa siamo”.
Tu per esempio chi sei?
“Nel privato sono una persona che ama mangiare e bere il buon vino, grazie a mio nonno, commerciante di vini, che mi ha fatto apprezzare le cose buone. Amo la compagnia della gente vera, cordiale e buona. Mi piace viaggiare, visitare e conoscere luoghi nuovi e fare nuove esperienze e nuove amicizie. Amo il mare e le montagne sperdute, mi piacciono tanto il caos quanto gli attimi di solitudine e calma, importanti per l'esistenza di un artista”.
Qual è il tuo rapporto con la musica?
“Io suono per comunicare, per regalare emozioni, per raccontare di me e della mia gente. Adoro esibirmi dal vivo, nelle piazze, tra le persone. Anche questo è un modo di viaggiare: attraverso i suoni”.
Quando è nato il desiderio di raccontare la tua terra in musica?
“Non so quando è nato, ma so che è nato per il bisogno di raccontare le storie di paese, le tradizioni, i proverbi, le serate passate al bar a giocare alle carte davanti a un bicchiere di buon vino”.
Così è nato il cd Masca vola via, scritto tutto in lingua piemontese, dove Simona Colonna canta un mondo fatto di leggende e memorie (streghe, briganti, sensali di matrimonio, emigranti) ma anche di momenti caratterizzati da estrema tenerezza (come in “Ninnaoh”) o da struggente speranza e malinconia (come in “Portme via da si”, ritenuto dai critici uno dei brani migliori del disco).
“La canzone omonima me l’ha ispirata mia nonna, che mi parlava delle masche quando ero piccola. Lavorare a questo album è stato un lavoro interessante anche perché ho dovuto documentarmi molto, girare per le Langhe e il Roero alla ricerca di notizie e testimonianze di prima mano”.
In che cosa ti senti piemontese?
“Intanto dalla lingua, che mi piace parlare soprattutto con i vecchi del mio paese, Baldissero d’Alba. Poi perché sono molto legata al mio territorio, amo andare per il mondo ma poi tornare sempre a casa, dove ho un piccolo appartamento, e ritrovare la famiglia e gli amici. Insomma dalle radici non mi stacco mai, o quantomeno le porto sempre nel cuore.”
Non hai mai pensato di lasciare l’Italia per sempre?
“L’ultima tentazione l’ho avuta qualche anno fa per “colpa” di Franco Califano. Ho lavorato con lui, era una persona splendida. Il Califfo è stato uno degli artisti più disponibili che abbia mai conosciuto. Era simpaticissimo anche se un po’ orso. Andavo regolarmente a trovarlo, voleva che mi stabilissi a Roma. “Io ti posso fare da supporto”, mi diceva. All’epoca insegnavo ancora a Alba; un giorno gli ho detto: “Guarda Franco, quando mi sentirò veramente pronta farò questo passo”. In realtà non sono pronta ancora adesso”.
Simona, quale confine musicale vorresti ancora esplorare?
“Tanti tanti, non posso dire di voler esplorare una cosa piuttosto che un'altra, diciamo che la musica è ancora così vasta che non ci sarà mai fine secondo me. Musicalmente invece un grande desiderio è quello di suonare con Peter Gabriel, il mio idolo. Non sono una che va molto ai concerti, ma per lui ho fatto un’eccezione all’Arena di Verona. È stato un momento memorabile, ho pianto dalla prima canzone all’ultima. Lui è un genio carismatico. La sua voce più l’orchestra hanno creato un effetto meraviglioso. Ecco, vorrei poterlo incontrare e fare qualcosa con lui, anche se so che è tanta roba…”
E di Chisciotte che ne faresti?
“Per il mio Peter sarei anche disposta a tradirlo, sono sicura che per una volta non se la prenderebbe…”