Qualche anno fa “SPQR” di Valerio Manni ha sollevato un mare di polemiche pretestuose. Ma lui è il primo a non prendersi sul serio
Intervista di Nico Ivaldi
Tutto merito del Senatur ….
“Merito di che cosa?” dice il trentanovenne cantautore torinese Valerio Vigliaturo, nome d’arte: Valerio Manni.
Se non era per lui non saresti diventato famoso in tutta Italia: pagine sui quotidiani, passaggi in radio, interviste. Insomma, no Bossi no party.
“E neppure mi sarei fatto nemico i meridionali, ma soprattutto i romani, se per questo”.
Facciamo un salto indietro nel tempo e torniamo al 2010.
Racconta Manni: “Ero stato invitato negli studi di Radio Padania per presentare il mio album Il momento giusto. A sorpresa, avevo poi cantato in diretta la mia nuova canzone “Spqr”, composta immediatamente dopo le dichiarazioni di Umberto Bossi”.
Che cosa aveva detto esattamente il Senatur?
“Niente di nuovo, aveva sparato le solite invettive su Roma ladrona, però corredate dalla sua personale traduzione dell’acronimo S.p.q.r.: sono porci questi romani”.
Mentre il sindaco Alemanno chiedeva l’intervento personale di Berlusconi, in rete già cominciava a circolare un video-collage di immagini, con sottofondo il pezzo di Manni. Le foto degli esponenti leghisti Bossi e Calderoli nei raduni padani si alternavano con quelle di “illustri” romani, da Francesco Totti a Alberto Sordi in Un americano a Roma, all'ex giocatore della Lazio Paolo Di Canio col braccio teso nel saluto fascista, a Sabrina Ferilli nello spogliarello per lo scudetto alla Roma, all’immancabile Christian De Sica.
Dunque, hai fornito un involontario assist al lider maximo della Lega, giusto?
Ecco, involontario è il termine esatto. Nella mia canzone ho semplicemente ripreso la metafora tratta dalla Fattoria degli animali di Orwell, in cui gli amministratori rappresentano la classe dirigente, ovvero i politici, per ritrarre attraverso un affresco riportato in musica l'allegra fattoria di maiali, oche, somari, lupi, sciacalli, topi e serpenti che contraddistingue la politica italiana contornata, anche, da sindacalisti, faccendieri e truffatori. Insomma volevo alludere all’intera classe politica che ci governa, al di là di partiti e schieramenti, non certo ai cittadini di Roma, che pure mi stanno molto simpatici. Tutto qui. Chi ci vuole vedere altro, faccia pure, ma è fuori strada”, osserva il cantautore torinese.
Volevi per caso seguire le orme di Alberto Fortis che nel ’79 suscitò un vespaio con il suo brano ‘A voi romani’?
“Beh, le parole di Fortis era un tantino più pesanti delle mie, ma comunque anche lui disse di aver voluto criticare con forza il Potere, di cui la Capitale era ed è il centro nevralgico. Ripeto: la mia era solo una canzonetta. Non mi prendo sul serio, come non dovrebbero essere prese sul serio tante affermazioni ironiche e legate a certi contesti, invece in Italia si cerca sempre lo scoop, il sensazionalismo”.
Sia come sia, ‘S.p.q.r’ era appena uscita in rete che una valanga di insulti e di minacce del popolo romano si è riversata su Valerio Manni, che non si aspettava una reazione tanto veemente.
Perlomeno ti sarà arrivato qualche attestato di solidarietà dalla Lega?
“Nemmeno per sogno! Però meglio così, io non sono mai stato dalla parte dei leghisti, e poi sono per metà meridionale, per cui mi sono trovato odiato da tutti. Come se non bastasse, mentre uscivo da Radio Padania chi ti incontro? Proprio Bossi, in compagnia della sua guardia del corpo, un romano che mi ha simpaticamente rimproverato per la canzone. Poi qualcuno mi ha fotografato con Bossi e così anche quell’immagine ha fatto il giro del web e dei giornali”.
Col senno di poi, possiamo dire che, insomma, un po’ te la sei cercata?
“Mah, forse sì” ammette Manni ridacchiando. “Anche se la mia ingenuità è stata quella di voler trasmettere un messaggio, magari non troppo bene, senza pensare alle conseguenze o alle male interpretazioni. Pensa che ho ricevuto critiche anche ad Acri, in Calabria, il paese dov’ero direttore artistico del Museo che ho fondato con mio padre Silvio (il MACA, Museo Arte Contemporanea Acri, una collezione di 340 opere che il pittore del vetro ha donato alla città, n.d.r).
Dopo quell’incidente di percorso, Valerio Manni smette di suonare e cantare per due anni. Viaggia soprattutto in Oriente, entra in contatto con nuove forme di spiritualità, porta avanti il suo romanzo, legge. Insomma, approfitta del polverone per prendersi una pausa e decidere del suo futuro. Però non gli piace stare con le mani in mano. Già in passato aveva collaborato con le pagine musicali di un quotidiano ed è tuttora presidente dell’associazione culturale “Il Camaleonte”, che organizza il concorso letterario nazionale InediTO – Premio Colline di Torino. A un certo punto Manni capisce che non può gettare alle ortiche un percorso musicale iniziato molti anni prima. E riprende a suonare.
“Suono da quando ero bambino. Prima il clarinetto, a otto anni, poi la chitarra a quattordici. La musica era di casa, da noi: mio padre suonava la batteria. Mi sono avvicinato molto presto alla musica rock degli anni ’70, e alla fine degli anni ’90 ho suonato con una band, gli Essenziale, che proponeva un pop elettronico ricco di contaminazioni”.
Dal 2003 Valerio Manni decide di proporsi come solista. Il suo genere, classificabile come pop d’autore, è caratterizzato da una raffinata ricerca sonora, con influenze musicali elettroniche, atmosfere sensuali, testi ricercati con ispirata vena poetica. L’esordio discografico avviene con il primo singolo, “Ma tu”, considerato tra le nuove proposte più interessanti di quell’anno. Il momento giusto è invece il suo album d’esordio, che regala al cantautore torinese notorietà nazionale
Attualmente per Valerio Manni è iniziata una nuova primavera artistica nel segno del jazz. “Studio canto jazz con Giovanni Grimaldi. Ho approfondito la vocalità e l’improvvisazione, ho fatto stage con Gegè Telesforo, Joey Black, ho seguito Kevin Mahogany e cominciato a fare jam session a Torino e anche in Sicilia, dove ho scoperto una bella realtà musicale, un ambiente molto vivace. Ora vorrei crearmi una band, magari inizialmente con la collaborazione di un pianista”.
Ancora oggi, se ripensa alla classica tempesta in un bicchiere suscitata con la canzone finta-leghista, c’è una cosa che ha dato molto fastidio a Valerio Manni: la scarsa considerazione attribuita al retro di “S.p.q.r’” un brano molto orecchiabile dedicato alla sua città e intitolato “Torino, l'è na bela cità”.
“Era il mio omaggio a Torino, descritta in tutta la sua nuova bellezza, smaniosa però, dopo l’ubriacatura post-olimpica, di ricreare freneticamente eventi e cerimonie festaiole. Purtroppo, per i motivi di cui abbiamo detto la canzone non ha avuto la fortuna che meritava. Eppure secondo me ha un bel ritmo”.
Che opinione hai di Torino?
“Non lo dico solo perché ci vivo, ma la considero per davvero una gran bella città piena di potenzialità, ma sempre in cerca di una conferma che non riesce a ottenere. È una città bella, ma senz’anima”.
Una città che spinge molti, come diceva Gipo Farassino, ad andare via per trovare consenso e fortuna. Magari un giorno potrebbe toccare anche a te, lasciarla…
“Non so se riuscirei, nonostante tutto...”