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Il senso di Silvio per la pelle

 

Silvio Giacchero Dompé, chirurgo plastico


di Marina Rota


Quando entri un po' intimidita nel suo studio, diventi subito la protagonista di un défilé: lui, dalla sua scrivania, sta già analizzando falcata, silhouette, espressione e portamento, cercando di intuire chi tu sia prima ancora di parlarti. 

E intanto, per metterti a tuo agio, ti lancia un saluto con la sua bella voce profonda: “Ma che cosa potrò mai fare per lei?”. 

Poi, il dottor Silvio Giacchero Dompè sta ad ascoltarti come pochi sanno fare. 

Alleggerisce con una battuta, condivide un’osservazione; e intanto il suo sguardo scorre sulla tua epidermide, ma scruta nel profondo, per cogliere i segni del tempo, le pieghe di un sorriso tirato, di un nascosto dolore. 

Le pazienti, che in un mondo di maschi distratti si sentono finalmente accolte e comprese, si confidano con lui e lo adorano. “I miei pazienti li scelgo”, ammette Giacchero Dompè. “Mi trovo bene con quelli armoniosi, che risvegliano in me un senso di responsabilità, di affinità; direi di amore”.

Non c’è da stupirsi che, in questa complicità simile a un transfert, le clienti accettino da lui lavate di capo, frecciate caustiche, risate sonore quando gli mostrano i loro approssimativi esercizi ginnici, perfino sgradite prescrizioni di diete in alternativa all’agognato intervento chirurgico... “e anche tanti no. Rifiuto, per esempio, di eseguire mammoplastiche, con esiti cicatriziali evidenti, su seni molto belli che non mi pare il caso di aggredire chirurgicamente. Intervengo più spesso su pazienti giovani, perché, nella loro fase di riconoscimento sessuale, la scarsezza del seno può apparire pregiudizievole nella vita di relazione, ma agisco sempre con una chirurgia additiva calibrata alle loro proporzioni fisiche. Al massimo, una terza. Quando proprio mi sento generoso, una terza B!” 

E che succede quando dice no? “Quando dico no, magari vanno da un altro privo di scrupoli, ma la cosa non mi tocca minimamente”.

Coltissimo, appassionato d’arte, irrimediabilmente esteta, Giacchero Dompè durante le visite ama dedicare alle pazienti poesie, monologhi (suo cavallo di battaglia quello del replicante di Blade Runner) e canzoni (In ginocchio da te, mentre esamina, appunto in ginocchio, la cellulite sulle loro cosce). È noto tanto per la sua particolare abilità - la cosiddetta “mano”, talento d’elezione per ogni chirurgo, soprattutto plastico- quanto per i suoi atteggiamenti decisamente originali, che gli hanno anche procurato guai. 

Come Picasso, Giacchero Dompè ha attraversato fasi esistenziali colorate, (in linea con le montature degli occhiali, dei tatuaggi, di certe tinte di capelli) alternandole ad altre abissalmente buie. Un anticonformismo spesso portato all’eccesso, la ricerca di un significato esistenziale libero da giudizi e schemi, hanno fatto da contrappasso all’educazione estremamente rigida ricevuta dalla famiglia, astigiana di nobili origini, in cui, dopo la prematura scomparsa del padre, un famoso medico, si instaurò una sorta di matriarcato fra la madre, amata quanto incombente, e le tre sorelle maggiori “tutte superbamente belle”, commenta il chirurgo “in particolare una, la mia preferita. Fu probabilmente l’irraggiungibilità della loro bellezza a condizionare le mie scelte sessuali”

I problemi iniziarono quando Silvio, brillante liceale, dichiarò di volersi iscrivere ad architettura, e la sua famiglia “più che cattolica, bigotta” lo boicottò, imponendogli la scelta fra medicina e la carriera ecclesiastica “allo scopo di diventare, ovviamente, il più celebre dei primari o in alternativa cardinale, se non Papa.” Il senso del dovere, che i ragazzi di allora non potevano eludere, lo condusse, scelto il male minore, a laurearsi in Medicina col massimo dei voti. “Mi specializzai in oncologia pediatrica. Ero considerato un bravissimo diagnostico ma la vista della sofferenza, della morte dei bambini era per me insopportabile: mi sentivo così male psicologicamente e fisicamente, che decisi di dedicarmi a un tipo di chirurgia con rari esiti letali. La chirurgia plastica mi ha dato grandi soddisfazioni, permettendomi di curare patologie malformative e danni da ustioni e incidenti, di correggere disarmonie antifunzionali con interventi non pregiudizievoli per la vita dei pazienti, e di soddisfare il mio innato senso del bello”.

Dopo quindici anni in ospedale con la guida del professor Michele Bocca, “maestro di grande professionalità e umanità, che mi conferì già a 24 anni una posizione ben definita”, Giacchero Dompè andò a imparare le tecniche d’avanguardia in Svizzera, a Parigi e soprattutto in Brasile, nella cliniche di Pitanguy e di Peixoto, dove si diceva che “Silvio tiene el sentìdo de la piel”, ovvero quella particolare percezione che permette di improvvisare per istinto l’intervento più adeguato.

Una carriera privata sfolgorante fino ad una profonda crisi, sui 50 anni. “Avevo un carico di lavoro enorme che affrontavo con l’ansia di fare sempre meglio, in continua sfida verso me stesso. Venni colpito da una terribile depressione, e smisi di operare per qualche mese. Ritardavo di ore la mia presenza in studio, solo per verificare se e quanto mi aspettassero le pazienti. Se e quanto mi amassero. Poi, secondo una legge esistenziale comune, la debolezza si tramutò in forza, e tornai a lavorare con un senso diverso del mio agire, in modo più tranquillo e selettivo. Consiglio sempre un periodo sabbatico a chi affronta la carriera con un coinvolgimento assoluto: è necessario per ricaricarsi ed evitare che si incrini irrimediabilmente l’equilibrio psicologico”. 

L’aver sperimentato sulla propria pelle esperienze drammatiche, sentirsi abbandonato da parenti e amici “più attenti a ciò che facevo rispetto a ciò che ero” lo ha reso, anziché più cinico, ancora più attento alle esigenze psicologiche di chi si rivolge al suo bisturi.

“Le situazioni più complicate sono quelle di depressione latente nelle giovanti pazienti candidate a interventi di liposuzione, con precedenti sbalzi di peso nell’alternanza di bulimia e anoressia. In questi casi, il ricorso a una liposuzione importante può avere un esito drammatico come quello della sindrome da schiacciamento, e così lo evito nell’immediato. Dialogando invece con le pazienti e le madri, normalmente contrarie all’intervento, consiglio uno stile di vita regolare, dieta ed esercizio fisico, promettendo di intervenire quando la silhouette si sarà assottigliata, e mi consentirà di ricorrere alla liposuzione solo su zone adipose localizzate. Spesso, in questo modo, il problema del soprappeso si risolve senza bisturi”.

Ma esisteranno dei criteri estetici universali, assoluti? Giacchero Dompè ne è convinto:  “Certo, esistono i canoni classici, ai quali mi ispiro sempre, e si riferiscono a rapporti precisi fra le subunità del volto. Il trend attuale è invece quello di tendere la pelle a dismisura, ottenendo quei visi alla Botero che poi si perdono nel rapporto volumetrico col collo sottile e avvizzito. Con l’età il corpo inoltre tende a rimpicciolirsi, e questi visi restano gonfi: un risultato agghiacciante”. 

Giacchero Dompè ricorda con una certa nostalgia il buon vecchio lifting, al quale non si ricorre più per mancanza di coraggio e di fiducia; mentre trova inaccettabile il ricorso scriteriato al botox, che operando un aumento volumetrico cancella le rughe ma snatura i lineamenti creando “facce di gomma”, maschere anonime:  “Questa pratica, che crea modelli unificati, ha fatto perdere il concetto della femminilità, della vera bellezza che si distingue dalle altre per fascino, intelligenza, armonia e, appunto, peculiarità, riducendola a una questione di volumi, secondo modelli diffusi dai mass media”. Non si deve però pensare che Giacchero Dompè intervenga solo su stoffe pregiate, “anzi, si può rendere molto felice una donna non bella se si sa intervenire in modo equilibrato, correggendo qualche piccolo difetto”.

E gli uomini?  “Mi chiedono soprattutto rinoplastica, blefaroplastica, liposuzione all’addome. Sono più decisi delle donne e molto meno imbarazzati all’idea che 'si sappia'”.

Come trascorre il suo tempo libero? “Camminando, viaggiando sui mezzi pubblici più che in auto, incuriosito dalla variegata umanità che incontro e osservo con amore. Leggendo molto e dipingendo, soprattutto su tondi. La mia forma è il cerchio, figura perfetta di congiunzione fra inizio e fine che rispecchia una visione trascendentale della vita. Mi piace sperimentare con l’acrilico e le tecniche miste, creando vedute immaginarie o riproducendo opere classiche: per la soddisfazione immediata di vedere qualcosa creato da me”.

E l'amore? “Sono stato profondamente innamorato e altrettanto deluso. Adesso non lo sono più. E poi, alla mia età, un gay innamorato rischia di diventare ridicolo”, dichiara col suo sorriso più seducente. 


 

 

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 Hanno collaborato a questo numero:

Nico Ivaldi

Oscar Borgogno
Alessandra Chiappori
Andrea Di Salvo
Andrea Musazzo
Marina Rota

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