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NICO e le molecole-vigile

 

 

Il Neuroscienze Institute Cavalieri-Ottolenghi


di Andrea Di Salvo


Girando in auto, può capitare di trovare un vigile urbano che, a seguito di qualche danno sulla carreggiata, vieti l'accesso a una certa corsia. In situazioni ordinarie invece regola semplicemente il traffico, evitando che si generi intasamento. Nel cervello succede qualcosa di analogo e c'è un centro della cintura torinese che ne studia i processi: è il NICO, Neuroscience Institute Cavalieri-Ottolenghi.

L'istituto, spiega il direttore scientifico Ferdinando Rossi, “nasce nel 2010 per iniziativa della Fondazione Cavalieri-Ottolenghi, un ente dell’Università di Torino presieduto dal Rettore, nato dal lascito di Anna Cavalieri-Ottolenghi per sostenere la ricerca sulle Neuroscienze. Il NICO ospita otto gruppi di ricerca (in tutto una sessantina di persone fra ricercatori, personale tecnico e studenti) e studia la struttura e la funzione normale del sistema nervoso, i processi patologici e degenerativi e i meccanismi di rigenerazione e riparazione. L’attività del NICO è sostenuta dalla Fondazione Cavalieri-Ottolenghi che offre la struttura ospitante i laboratori, dall’ateneo torinese e da finanziatori pubblici e privati nazionali e internazionali”. Le ricerche coprono diverse aree ma sono accomunate dallo studio dei fenomeni di plasticità, cioè la capacità del sistema nervoso di rimodellarsi in risposta all'esperienza o a un danno subito. I ricercatori si concentrano perciò sulla formazione e la modifica dei circuiti neuronali, analizzano il funzionamento delle cellule staminali e come queste reagiscono in condizioni di danno. 

Un altro fronte di ricerca si focalizza su come potenziare la ricrescita dei nervi periferici e bloccare la morte dei neuroni in malattie neurodegenerative acute come l’epilessia, l’ischemia, la Sclerosi Laterale Amiotrofica e l’Alzheimer; si estende anche ai disturbi psichiatrici (come quelli da ansia e da stress) e metabolici (quali l'obesità). 

A differenza del sangue o della pelle, il sistema nervoso ha una scarsa capacità rigenerativa: questo si traduce in una sostanziale impossibilità di rinnovamento delle proprie cellule. Eppure non tutto è perduto. Ad esempio, la ricerca sulle cellule staminali è una fonte di speranza. Queste cellule sono molto particolari in quanto non sono “specializzate”, come le cellule nervose o del cuore, ma hanno la capacità di trasformarsi in una di esse. Dunque sono una risorsa importantissima nella cosiddetta “medicina rigenerativa”, il cui scopo è proprio quello di riparare i danni ai tessuti. “Negli ultimi anni è stato dimostrato che alcune cellule staminali esistono anche nel cervello dei mammiferi, uomo incluso, e diversi gruppi di ricerca del NICO studiano specificamente questo fenomeno”, dice Luca Bonfanti, professore di Anatomia Veterinaria all’Università di Torino e ricercatore al NICO. Fulcro della ricerca dell'istituto sono ovviamente le “cellule staminali neurali”, recentemente scoperte, le cui attività e funzioni nel cervello degli adulti sono ancora pressoché sconosciute, ma che si ipotizza posseggano proprietà riparative. Per questo motivo si esaminano i meccanismi cellulari e molecolari che le governano.

Data la complessità del sistema nervoso, la ricerca deve avere un approccio multidisciplinare. Tipico il recente studio della molecola NoGoA. Che cos'è questa molecola? A parlarne è Annalisa Buffo, ricercatrice dell'Università di Torino presso il NICO e coordinatrice della ricerca pubblicata sul “Journal of Neuroscience”. “ Lo studio su NoGoA nasce a Torino ed è stato eseguito interamente nei nostri laboratori, grazie alla capacità del nostro giovane team e al finanziamento della Compagnia di San Paolo. Il professor Martin Schwab dell’Università di Zurigo, unico non-torinese tra gli autori, è il “padre” di NoGoA, avendo individuato negli anni Ottanta questa proteina nella mielina (il rivestimento degli assoni, che sono i collegamenti usati dai neuroni per comunicare tra loro del sistema nervoso centrale)”. Il lavoro dei ricercatori “ha dimostrato che NoGoA, espresso dai neuroni prodotti dalle cellule staminali neurali adulte, agisce sul suo recettore presente sulle staminali stesse inibendone la proliferazione e la conseguente generazione di nuovi neuroni”.   

La conoscenza derivante da queste ricerche potrebbe aprire nuovi approcci terapeutici in grado di sostituire le cellule perdute a causa di malattie neurodegenerative o di limitare l’espansione e la proliferazione dei tumori cerebrali. “La strategia di cura o di riparazione può consistere nel neutralizzare o, viceversa, potenziare NoGoA e il suo recettore (rispettivamente per favorire la produzione di nuovi neuroni o per limitare la proliferazione delle cellule malate)”. La ricercatrice precisa però che, al momento, queste risultano essere solamente delle possibilità da indagare più a fondo con ulteriori ricerche. Solo in questo modo sarà possibile tradurre tali risultati in strategie terapeutiche. “A questo proposito, la storia stessa della molecola NoGoA è emblematica dei tempi e dei modi con i quali la ricerca di base arriva a quella clinica con rigore e scrupolo: l’avvio dei primi trial clinici ha richiesto quasi trent’anni di lavoro. Potrebbe volerci altrettanto per dimostrare il valore terapeutico delle nostre attuali scoperte. Il nostro obiettivo è capire se e come possiamo stimolare processi riparativi”. 

Viene naturale domandarsi se tutto questo sforzo possa anche tradursi in uno stimolo positivo per un Paese, come il nostro, in grave difficoltà. “Essere uno stimolo positivo è esattamente lo spirito col quale lavoriamo. La ricerca e la formazione in ambito accademico sono il nostro lavoro. Sono anche la nostra passione. Per questo i ricercatori del NICO sono impegnati in attività di divulgazione della cultura scientifica e hanno voluto fondare sulla condivisione di risorse e competenze il proprio lavoro all’interno dell’Istituto. Il valore della divulgazione non sta nel ridurre in senso astratto la distanza tra società e mondo dell’Accademia, tradizionalmente molto ampia nel nostro Paese. È, da una parte, un atto dovuto nei confronti di chi con le tasse paga i nostri stipendi (e spesso anche la nostra ricerca) e un’occasione per fornire strumenti critici utili a valutare le informazioni che, attraverso i media, ci raggiungono e a volte disorientano. È cruciale anche per permettere alla società di capire quali sono le dinamiche, i modi e i tempi della ricerca, che per produrre vera innovazione, non può che partire dalla ricerca di base. Inoltre, la divulgazione permette di presentare un modo di lavorare (e di vivere) abbastanza inconsueto o, per lo meno, non ovvio: un esempio d’impegno e di fatica con risultati solo a medio-lungo termine, basato sull’esercizio rigoroso della critica, sull’utilizzo parsimonioso delle risorse e sulla propria passione, vero impulso e incentivo che spinge oltre le difficoltà. Raccontando un po' della storia di NoGoA speriamo di aver spiegato che nella ricerca seria si sa quando si comincia ma non si sa quando si finisce, né dove. Il nostro impegno è lavorare creando sinergie tra i ricercatori del NICO per produrre dati solidi che siano di riferimento a livello internazionale nei nostri ambiti di ricerca, di base e applicata. Questa è la più seria delle promesse che possiamo fare.” 

Per approfondire

www.nico.ottolenghi.unito.it


Immagini tratte dal sito del NICO

  

 

 

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 Hanno collaborato a questo numero:

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Oscar Borgogno
Alessandra Chiappori
Andrea Di Salvo
Andrea Musazzo
Marina Rota

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