Bibo, i suoi kebab e San Salvario che cambia
di Federico Floris
Bibo ha 41 anni, è nato in Egitto, ha studiato matematica all’università del Cairo e nel 1990 ha deciso di trasferirsi a Torino. Ha scelto da subito San Salvario, il quartiere popolare alle spalle della stazione di Porta Nuova. E le vie del quadrilatero racchiuso tra corso Vittorio Emanuele II, via Nizza, corso Dante e corso Massimo D’Azeglio sono diventate la sua casa. Ha cominciato lavorando come garzone ai mercati generali e come lavapiatti in un ristorante: oggi è un imprenditore di successo. Dal 1999 è proprietario di Horas Kebab, il ristorante specializzato nel sempre più celebrato panino di carne arrostita tipico della gastronomia turca e araba. A Torino negli ultimi dieci anni sono nati centinaia di esercizi commerciali di questo tipo: “siamo 1500 in città, assicura Bibo, trenta solo qui a San Salvario”.
Il kebab, che letteralmente significa “carne arrostita”, non è più soltanto un cibo etnico ma sta entrando stabilmente nelle abitudini alimentari dei torinesi. A tal punto che Eataly nel proprio fast food di piazza Solferino propone il suo Kebabun: una variante composta d’arrosto di razza bovina piemontese, piadina di farina di grano romagnolo e sale integrale di Cervia.
Tra i ristoranti e i chioschi dedicati al kebab aperti da commercianti stranieri in città Horas è uno dei più popolari: “Nel weekend facciamo 1500 coperti al giorno” racconta Bibo, che aggiunge: “Il 98% dei nostri clienti sono italiani, il 70% sono giovani sotto i 35 anni e il 20% sono famiglie”. I conti sono presto fatti: calcolando come spesa media di ogni avventore un kebab arrotolato e una bibita siamo sui 5 euro. Moltiplicati per 1500 diventano 7500 euro al giorno.
I motivi del successo di Horas sono riassunti nella recensione che lo scrittore Giuseppe Culicchia ha redatto per La Stampa: “ Le proposte della casa non si limitano al kebab, che qui è preparato con carne fresca e tenera, ma abbracciano numerosi classici della cucina nordafricana e in particolare egiziana”. Il locale, situato in via Berthollet 24 a due passi da piazza Madama Cristina, è semplice e ruspante. “Due stanze – prosegue Culicchia – con alcuni tavolini, la garanzia di venire accolti da un sorriso, l’apertura sette giorni su sette e per giunta anche di notte. Per tacere della bontà: l’abbondanza delle porzioni è pari alla loro squisitezza. Voto 9+”.
Bibo ammette compiaciuto: “È vero, abbiamo un bel nome a Torino e provincia. Ora abbiamo aperto tre locali della catena Horas, con mio fratello e mio cugino (tutti a San Salvario, uno in corso Vittorio Emanuele II e l’altro sempre in via Berthollet, ndr). Cerchiamo di prestare massima attenzione alla qualità del prodotto: chi viene da noi sa cosa trova e ci ritorna”.
E chi entra da Horas viene accolto dal sorriso e dalle simpatiche invettive di Bibo: “Con la nostra clientela abbiamo costruito un rapporto ormai consolidato. Quando entra un ragazzo ad esempio gli dico: Ciao clandestino!, a un altro urlo: Ciao negro!, altri li saluto con un Ciao immigrato!. Li pizzico sempre. È una maniera per attirare l’attenzione. Chi conosce il locale lo sa e si mette a ridere. Chi ci viene per la prima volta rimane un po’ stupito. È il nostro modo per instaurare il rapporto. Noi siamo qua non solo per vendere cibo ma anche la nostra cultura. Il mio lavoro principale sono le public relations. È fondamentale che si crei il giusto dialogo, il giusto feeling tra noi e la famiglia o i ragazzi che vengono a trovarci, magari in piena notte, usciti dalle discoteche dei Murazzi”.
Bibo non si occupa solo di cucina, e nel corso del tempo è diventato un punto di riferimento all’interno di un quartiere che all’inizio degli anni Novanta era considerato un Bronx, crocevia di spaccio, prostituzione e malavita. Negli ultimi quindici anni San Salvario ha subito una notevole trasformazione sociale a fronte di un rafforzamento della sua identità multietnica: i problemi sono tutt’altro che risolti, ma il clima è nettamente mutato.
È un contesto urbano complesso e affascinante, nel quale coesistono quattro confessioni religiose coi rispettivi templi (chiese cattoliche, un tempio valdese, una sinagoga e numerose sale di preghiera musulmane), e un centinaio di etnie diverse.
Da qui, dalle politiche di integrazione e cooperazione, comincia il ruolo attivo di Bibo nella vita del quartiere: “San Salvario è cambiato e cambierà ancora, grazie ai lavoratori italiani che collaborano con i lavoratori immigrati. È nato un modello di società in cui entrambe le realtà cooperano per cercare di far crescere l’intera comunità”.
Il modello d’integrazione che il quarantunenne egiziano prende ad esempio è quello che vede nelle scuole elementari della zona: “I miei figli nascono e vivono accanto ai ragazzi di genitori italiani: insieme giocano e si divertono. Quest’armonia dobbiamo trovarla anche noi adulti, bisogna imparare dai più piccoli”.
E in questo modello sociale l’imprenditore egiziano ha un ruolo di primo piano. Bibo è infatti tra i fondatori e attuale vicepresidente di Borgo 8, l’associazione nata nel 2005, che riunisce “commercianti, artigiani, professionisti, artisti, consumatori, operatori economici e sociali di San Salvario”. Lo scopo è la tutela degli interessi socio-economici dei propri aderenti. L’associazione si basa sui principi di solidarietà e multietnicità: “Ci impegnamo tutti insieme per dare vita a una società davvero aperta. Organizziamo feste, iniziative artistiche e manifestazioni culturali: promuoviamo la vita di quartiere. Soprattutto si è creato un clima molto positivo tra noi negozianti. Se mi parli del Biberon, del Mar Rosso, del Diwan Cafè (locali della movida situati nelle vie circostanti, ndr), mi parli di grandissimi amici. Lavoriamo per costruire un nuovo grande quadrilatero, se possibile ancora più bello di quello vicino a Porta Palazzo che, mi spiace dirlo, è troppo caro”.
E nel marzo del 2010, quando la scuola del figlio di Bibo, la Manzoni di via Madama Cristina, aveva bisogno di essere ritinteggiata ma mancavano i fondi, ci hanno pensato proprio i genitori dei piccoli studenti. Il proprietario di Horas ha dato il suo contributo facendo quello che gli riesce meglio: cucinare i suoi piatti tipici offerti ai genitori occupati con tinte, colori e pennelli.
Aiutare il prossimo attraverso la propria competenza professionale. Una linea di comportamento che Bibo ha adottato appena arrivato in Italia, nel 1990: “Tra le prime cose che ho fatto a San Salvario c’è stato un laboratorio di cucina e cultura egiziana indirizzato agli italiani. Io imparavo da loro la vostra lingua e loro da me la nostra gastronomia”.
La gavetta nel mondo della ristorazione ha portato Bibo a lavorare addirittura nello staff degli chef della Juventus, dal 1995 al 1999. Dopo quattro anni a cucinare italiano per Zidane e gli altri giocatori della squadra, è arrivata la decisione di cambiare vita: “Avevo quasi trent’anni, mi sono sposato e ho deciso che non volevo più fare il dipendente. Volevo scegliere il mio giorno di riposo e quando andare in ferie. Così abbiamo aperto gli Horas”.
Una scelta azzeccata che a dodici anni di distanza gli può far ammettere con un pizzico di orgoglio: “Penso alla pubblicità che facciamo allo stadio: quando ho iniziato a lavorare per il ristorante italiano come lavapiatti la facevano loro. Da otto anni al suo posto c’è quella di Horas, per tutte le partite casalinghe del Torino. È una bella soddisfazione”.
Questo articolo ha ricevuto una menzione speciale alla V edizione del Premio Piemonte Mese, sezione Economia
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