di Luigi Serrapica
Diverse frazioni sparse e una “capitale”, località San Pietro, che funziona da centro di riferimento per le borgate circostanti. Devesi è la frazione di Ciriè, in provincia di Torino, più popolosa e il suo nome attuale deriva proprio dal terminediversi, con cui si soleva indicare i diversi territori che la compongono.
Il confine tra Devesi e il resto della città è segnato storicamente in un canale, che un tempo tagliava campi coltivati o prati: sembrava un confine vero e proprio, ma Ciriè distava un pugno di chilometri oggi considerato irrisorio. Tre, scarsi, per collegare la chiesa di San Giovanni Battista – monumento gotico faro della città – alla parrocchia devesina dedicata al nome di San Pietro. Oggi, una lingua d’asfalto troppo stretta per sostenere il traffico che transita sulla attuale via Robassomero, collega città e frazione, l’ipermercato e i suoi acquirenti. Il canale imbrigliato nel cemento, quasi invisibile a chi sfreccia in automobile, è un rivolo che non porta nutrimento alla terra ma un po’ di fastidio ai residenti nelle vicinanze.
La via Delle Spine, strada alternativa per giungere a Devesi attraverso i pochi campi coltivati rimasti, rimanda al tempo in cui quella strada venne aperta, in mezzo a un roveto, una cinquantina di anni fa. Devesi viene citata in un documento oggi custodito nell’Archivio storico di Torino e datato 1632: il vicario foraneo contò 175 anime nei territori “diversi’”delle frazioni. Oggi, cresciuti fino a circa 3000 unità, i devesini restano fieri della loro terra non blasonata dall’epiteto pomposo di città, come Ciriè. Tante borgate, ognuna con una chiesetta e un santo patrono. Ognuna con una storia.
La zona è irrigata da canali che hanno permesso prima un timido sviluppo agricolo e poi un promettente slancio industriale, arenatosi poi nelle secche di un presente fatto di servizi e terziario: tre grandi cartiere (Marietta, Olivetti, De Medici) segnarono anni di lavoro intenso, diviso tra fabbrica e terreno agricolo. “Un campo delle dimensioni di unagiornà, circa 3800 metri quadri, sfamava una famiglia, ricorda il signor Silvio, storica presenza a Devesi, e i bambini davano una mano nei compiti più leggeri fin dai sette anni, dopo la scuola”.
A San Pietro ci sono due istituzioni scolastiche di vecchia data, simbolo della socialità di paese: un asilo fondato negli anni Venti e gestito dalle suore e una scuola elementare fondata nel 1889. Generazioni di devesini vi hanno ricevuto educazione e formazione e hanno cementato rapporti che vanno oltre la semplice condivisione di un’esperienza scolastica. L’esempio? Il Palio dei Borghi, organizzato dalla Città di Ciriè ogni biennio, negli anni dispari, e vinto a ripetizione dal team bianco-rosso di Devesi: vittorie di squadra, con un tifo da stadio, con tanto di fumogeni e striscioni.
Anche Ricardesco, altra località della galassia ciriacese-devesina, aveva una scuola elementare: la borgata è cresciuta negli anni all’ombra tetra dell’Ipca, fabbrica di coloranti chimici che produsse ricchezza e morti per tumore. La scuola, che ha chiuso i battenti negli anni Ottanta, ospitava alunni fino alla quarta elementare. Oggi è la sede dell’Associazione per la tutela dell’ambiente: Claudia, a sua volta insegnante presso una scuola media ciriacese, ricorda la maestra Maria Margherita Morlacchi, che abitava nell’appartamento al secondo piano dell’edificio scolastico dove i bambini erano soliti seguire i programmi televisivi davanti al primo apparecchio tv della zona.
Borche, borgata confinante con Ricardesco, è la vera sede della fabbrica di anilina, l’Ipca, che arrivò a impiegare fino a 400 operai. Superando il borgo e costeggiando uno dei tanti canali della zona si finisce al cospetto di una struttura gialla, alta tre piani e sormontata da una ciminiera che pare essere stata trapiantata qui, in mezzo al verde, direttamente dalla fumosa Londra della rivoluzione industriale. Il silenzio che aleggia intorno alla ex-conceria Ugolini trasforma la vista di un rudere in un viaggio mentale, all’epoca in cui la fabbrica scaricava nel canale i propri scarti e gli uomini aspettavano la sirena di fine turno per tornare a casa, o andare verso una delle osterie della zona con gli amici. Alle sue spalle si erge, sorretta non dal cemento ma dall’edera che l’ha ormai invasa, una piccola cappella dedicata a San Michele. Oggi sconsacrata dopo le razzie e le profanazioni avvenute negli anni, resiste nel ricordo degli abitanti di Borche e dintorni, per cui il giorno di san Michele è sempre stato un evento importante: “Un tempo si organizzava una festa che durava tre giorni”, raccontano Vincenzo e Franco, due cugini che hanno speso la loro intera vita da queste parti, eccezion fatta per gli anni della guerra. “Il programma prevedeva la celebrazione della messa nella cappella dedicata al santo, aperta per l’occasione, e divertimenti per ogni gusto: balli, tiro alla fune e albero della cuccagna”. Negli anni successivi veniva anche installata una giostra per i bambini nel centro della frazione, vicino al bar che esiste da cento anni (ora è una trattoria sospesa tra sopravvivenza e odori di fallimento) e accoglieva i lavoratori dell’Ipca a fine giornata.
Vastalla è l’altra frazione di Ciriè: una chiesa (San Giovanni), poche case, tanto verde e anche qui una ex-scuola. In questo caso, abbandonata e preda di vandali: l’edificio è in attesa di essere venduto dal Comune, e per ora ricorda un passato in cui due pluriclassi accoglievano 26 alunni di varie età. Vastalla si trova oltre il torrente Stura, ai piedi dell’altura che conduce a Robassomero. In epoca antica fu punto strategico, perché permetteva ai ciriacesi di oltrepassare il corso d’acqua senza pagare dazio a qualche comune limitrofo. La collega al capoluogo un ponte di cemento e asfalto che nel 2000 venne trascinato via dall’alluvione. Il signor Mario, quasi novantaduenne, ricorda i tempi in cui per passare da una sponda all’altra si usava lapianca, una passerella di legno che permetteva il transito di bici e pedoni. A Vastalla funzionava anche un barcone per il transito di merci e persone. Nel 1864 Ciriè ottenne la concessione per l’attraversamento della Stura nei pressi dell’attuale ponte: nel 1870, due storiche famiglie di Vastalla si scambiarono la licenza per effettuare quel servizio, e il notaio che curò lo scambio stabilì che gli acquirenti fossero vincolati a versare a vantaggio del Comune di Ciriè un onere totale di 770 lire dell’epoca. Una cifra considerevole per quei tempi, poiché il pagamento venne dilazionato in rate settimanali dell’ammontare di 7 lire.
Un altro forte ricordo risalente ai primi decenni del Novecento è quello del tumbarel, carro con sponde ribaltabili che trasportava la sabbia prelevata dal fiume da usare per le costruzioni. Paura e gratitudine sono sempre stati i due sentimenti con cui gli abitanti della frazione hanno guardato a quel torrente, tanto innocuo d’estate quando è quasi completamente asciutto, quanto minaccioso quando è ingrossato dall’acqua e dai detriti.
Quattro frazioni, quattro scorci di vita di provincia. Quattro esempi di un passato che, nonostante lo scomparire dei vecchi del paese, non finisce relegato a margine di un libro di storia locale.
Questo articolo ha ricevuto una menzione speciale alla V edizione del Premio Piemonte Mese, sezione Cultura e Ambiente
Foto di Luigi Serrapica