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Basso profilo, grandi risultati

 

Un piemontese alla Fondazione Bruno Kessler


di Gabriella Bernardi



Il complesso della Fondazione

Si sa che i piemontesi sono intraprendenti, anche se spesso amano tenere un basso profilo a causa della riservatezza che pare connaturata al loro carattere. Così capita di incontrarli nei posti più inaspettati, come è successo a me durante una recente visita a Trento, presso la Fondazione Bruno Kessler (FBK per chi la frequenta). Il piemontese in questione è Paolo Traverso, e dal suo intervento scopro che è Direttore dal 2007 delCentro per l’Information Technology di questa giovanissima istituzione che, raccogliendo l’eredità dell’Istituto Trentino di Cultura, è nata da un’intuizione di Bruno Kessler, lungimirante amministratore locale e fondatore dell’Università di Trento. 

Ma diamo un po’ i numeri per capire cosa sia la Fondazione e la funzione del professor Traverso. Attualmente conta due poli, quello scientifico e quello umanistico, con più di 350 ricercatrici e ricercatori, 220 fra tesisti, dottorandi, studenti post-dottorato e visiting professors. Al momento sono presenti otto centri di ricerca e sette laboratori, tra cui un Laboratorio di Microtecnologie o MT-Lab, completamente attrezzato per la progettazione e la produzione in serie di dispositivi in silicio. 

Ad oggi annovera trenta fra spin-off e startup, ovvero piccole aziende create a partire da idee e attività iniziate nella fondazione, ed una fitta rete di alleanze e collaborazioni locali e internazionali. Al suo interno troviamo anche due biblioteche specializzate con 225.000 volumi e 100 convegni scientifici realizzati ogni anno. I campi di ricerca oggetto della sua attività vanno dalle Tecnologie dell’Informazione ai Materiali e Microsistemi, dalla Fisica Teorica alla Matematica, dagli Studi Storici Italo-Germanici alle Scienze Religiose, ma anche campi multidisciplinari ed inaspettati che rispecchiano l’attualità, come gli studi sulla risoluzione dei conflitti o quelli sul linguaggio utilizzando l’informatica e le simulazioni numeriche, per giungere a diverse applicazioni pratiche come ad esempio dei traduttori con microfoni sperimentati nelle aule di Tribunale a Torino.

Ma torniamo a Paolo Traverso: qual è il suo profilo e quale è stato l’iter professionale che l'ha portato alla Fondazione Kessler?


Dopo la laurea in ingegneria elettronica nel 1984, ho iniziato a lavorare nell’industria, ho lavorato a Milano su sistemi informativi e sistemi per il supporto alle applicazioni finanziarie, ma la parte più interessante di questo periodo è stata a Chicago e poi a Londra (sono stato all’estero per circa due anni), dove ho cercato di applicare “le cose che avevo imparato a scuola” sull’Intelligenza Artificiale (l’argomento della mia tesi) lavorando a progetti per l’integrazione dei sistemi di ausilio alla progettazione e per l’automazione di processo. La mia esperienza internazionale è continuata a Edimburgo, dove sono stato visiting researcher presso il Dipartimento di Intelligenza Artificiale, uno dei più forti al mondo. Quando mi è stato offerto di rientrare in Italia a Trento, l’idea che stava alla base del Centro per la Ricerca Scientifica e Tecnologica mi è subito piaciuta: fare ricerca di serie A, competitiva a livello internazionale, anche di base e teorica, ma sempre con una validazione sperimentale e una applicazione pratica in mente. Questo è nel cuore di FBK e nel cuore dei suoi ricercatori a Trento. Ho iniziato nel 1989, da semplice ricercatore (periodo bellissimo!). La mia prima area di ricerca è stata la pianificazione automatica. Sono diventato poi responsabile di progetti, non solo di ricerca, ma anche di progetti dove la ricerca si confrontava con i bisogni e le tecnologie delle applicazioni industriali, ad esempio in ambito ferroviario e avionico. Sono poi diventato responsabile del laboratorio di “verifica e validazione del software” nel 1996, poi responsabile della divisione “Sistemi di Ragionamento Automatico” nel 2000 e infine direttore del centro FBK ICT nel 2007”.

In una interessante dimostrazione ho visto e sperimentato tavoli multimediali utili per le visite museali o la didattica medica, telecamere tridimensionali per applicazioni diagnostiche o software di riconoscimento di luoghi e paesaggi tramite il semplice scatto di una fotografia dal cellulare, e postazioni didattiche per bambini autistici, che tra l’altro sono state sviluppate per una Onlus di Torino. Può parlarci di queste e delle tante altre attività di ricerca del centro che dirige e dei loro attuali sviluppi?

Il futuro dell’informatica sarà senza computer, ovvero senza il computer come lo intendiamo adesso. L’informatica sarà negli oggetti di tutti i giorni, sempre più nascosta in dispositivi dispersi nell’ambiente, sempre più pervasiva. I tavoli multi-touch (ai quali diverse persone assieme lavorano, studiano, giocano) ne sono un esempio. Da queste tecnologie è nato uno spin off (PractiX) che ha lavorato per la didattica medica ed ha un promettente futuro nelle scuole, perché i ragazzi potranno usare questi tavoli per studiare in gruppo e fare cose, anziché ripetere nozioni che hanno imparato. In progetti di ricerca a livello internazionale li abbiamo sperimentati per aiutare i bambini affetti da autismo a interagire con le persone. 

Il sistema che permette di riconoscere paesaggi col cellulare fa parte di un progetto di ricerca su una importante sfida del momento, la “realtà aumentata”. Pensiamo alle applicazioni per il turismo: una tecnica che confronta l’immagine al cellulare con le mappe digitali permette di “aumentare” l’immagine con informazioni. Non solo i nomi delle montagne che sono inquadrate, ma anche i sentieri nascosti dall’altra parte della montagna, i negozi che ci sono in un edificio, cosa vendono e così via. Le applicazioni della realtà aumentata vanno oltre il turismo, possono far parte di sistemi che ad esempio aiutano la protezione civile, a guidare un aereo o una nave. 

A questo proposito, abbiamo tecnologie che lavorano sul linguaggio e la semantica per la traduzione automatica da una lingua all’altra, ma anche per l’elaborazione di testi che facilitino chi li deve leggere: stiamo studiando il problema della transcodifica, per facilitare la lettura di testi a bambini che hanno difficoltà cognitive, o della “transcodifica multimediale”, che consente ad esempio di passare da un video a un racconto e viceversa. Da anni siamo fra i centri più forti in riconoscimento del parlato, sistemi di dettatura automatica, sistemi audio che permettono di separare i discorsi di più persone che parlano contemporaneamente in un ambiente affollato e rumoroso. Facciamo ricerca anche nel campo della domotica, dove la tecnologia è applicata all’automazione delle abitazioni e può essere molto utile anche per persone con handicap.

Sono attività molto rilevanti, tanto da farvi salire recentemente alla ribalta per la notizia del “baco” di Google. Cos’era successo?

Il gruppo di ricerca in FBK che si occupa di “sicurezza e trust” ha scoperto che nelle Google Apps si poteva cambiare identità, ovvero un utente si può far passare per un altro. Importanti aziende affidano i loro dati a Google, che li gestisce conto terzi garantendo diversi livelli di riservatezza. Farsi passare per un altro vuol dire accedere a dati riservati di una azienda. Con l’avvento delle cloud, i servizi che permettono di immagazzinare dati e informazioni conto terzi, questo è un problema molto rilevante. La tecnologia inventata in FBK si basa su una modellazione del sistema e dei protocolli che permettono di identificare un utente e, con tecniche di pianificazione, rilevano percorsi critici che un hacker può attivare per accedere a dati riservati e “bucare” il sistema di sicurezza. Ma la tecnologia ha diverse e innumerevoli applicazioni: pensiamo ai dati riservati e sensibili in campo sanitario”.

In Piemonte ci sono fondazioni o realtà analoghe? Si potrebbero creare?

Centri di ricerca come FBK nascono dove c’è un ecosistema che, come succede in Trentino, mette a stretto contatto decisori politici, ricerca e aziende. Una politica illuminata che usa l’autonomia per spingere l’innovazione e l’internazionalizzazione invece di chiudersi in se stessa, che investe in ricerca e si confronta quotidianamente con la ricerca e pretende dalla ricerca i risultati del proprio investimento. Questa politica illuminata è il cerino che accende la miccia di questo ecosistema. Il Trentino è un modello che credo si possa seguire in altre regioni, e credo che il Piemonte ne abbia la possibilità. In Piemonte ci sono università di grande prestigio, come il Politecnico di Torino e aziende che investono in ricerca, anche in ricerca in informatica, come Telecom e Fiat. Ci vuole però una intesa forte e una visione sul futuro coraggiosa, condivisa fra politica, istituzioni e ricerca”.


 

 

 

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intervista di Nico Ivaldi


Hanno collaborato a questo numero:

Nico Ivaldi

Gabriella Bernardi
Oscar Borgogno
Emanuele Franzoso 
Fabio Lepore 
Ugo Leo
Viviana Monastero
Gabriele Pieroni
Valentina Roberto
Federica Vivarelli

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