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Miseria e nobiltà. Il Monte dei Pegni di Torino


 

di Marina Rota


Nel film L'uomo del banco dei pegni, un indimenticabile Rod Steiger, ebreo sopravvissuto al lager, si rivale delle torture subite, del suo rancore verso l’umanità, taglieggiando senza pietà coloro che si rivolgono al suo banco dei pegni, nell’intento di non soffrire più, diventando insensibile ad ogni tipo di sentimento. Oggi gli uomini e le donne dei Monti di Pietà non sanno nascondere la loro solidarietà per i clienti che, vittime della mala sorte, dei vizi, della crisi si rivolgono ai loro sportelli; e quando ostentano indifferenza è solo per rimuovere la riflessione che dall’altra parte del vetro, prima o poi, potrebbero esserci anche loro.

Osserviamo in una mattina piovosa questa variegata umanità che arriva alla spicciolata al Monte dei Pegni, immaginandone i pensieri e le preoccupazioni. C’è chi vaga incerto sul marciapiede come cercando un posto che non trova; arriva in fondo alla strada, poi torna, si fa coraggio e varca l’ingresso. C’è chi arriva a viso aperto e passo deciso, come per entrare in una qualsiasi banca; c’è invece chi si nasconde dietro grandi occhiali, sciarpe e foulard per non incorrere in qualche imbarazzante incontro con vicini e conoscenti. Tutti, entrando, portano dentro le borse le loro storie, le loro piccole e grandi sconfitte, le loro speranze. 

Fra i clienti in attesa, coppie giovani, tanti anziani, un ragazzo con l’Ipod, qualche signore distinto e un manipolo di amiche sulla cinquantina, i cui travestimenti con vestiti consunti e occhiali scuri non trarrebbero in inganno nessuno: sono “donne della domenica”, benestanti, in procinto di farsi un bel giro di shopping griffato grazie alla liquidità che scivolerà nei loro altrettanto griffati portafogli. 

Una categoria di habitué sono i giocatori incalliti, per i quali, usando un termine un po’ melodrammatico, la vita è sempre in pegno: si perde e si impegna, si vince e si riscatta. Proprio un coltissimo e arguto amico appartenente a questo gruppo, che chiameremo Umberto e che al Monte è di casa, ci ricorda di un illustre precedente in questo senso: Niccolò Paganini che, inguaribile quanto sfortunato giocatore, impegnava regolarmente il suo prezioso violino, “il Cannone”, capolavoro del liutaio Guarneri del Gesù, che veniva immancabilmente riscattato, alla vigilia dei concerti, dal suo grande amico Gioacchino Rossini. 

Alcuni giocatori hanno mandato in fumo completamente gli averi anche sostanziosi della loro famiglia e delle mogli, altri contano solo su quelli personali: come “la pensionata col vizietto” (per sua autodefinizione) malata di noia e solitudine e pendolare dell'autobus coi vetri oscurati che da Porta Susa conduce al Casino di Saint Vincent, dove trascorreva tutta la giornata, in genere perdendo, senza accorgersi del passare delle ore. In barba ai buoni consigli degli esperti del Monte dei Pegni di darsi ad attività meno aleatorie seppur meno eccitanti come il decoupage o l’uncinetto, coltivò il vizietto fino all’ultimo, vendendo anche i quadri e i disegni del nipote, rinomato pittore. In fondo c’è un piacere sottile nel perdere al gioco, ci confessa Umberto, molto simile a quello di attendere una donna che non arriverà mai. Anche gli aristocratici decaduti, che richiamano romantiche nostalgie da Ottocento russo, frequentano ancora il Monte. 

Gli esperti del settore dichiarano che non si è registrato ultimamente un significativo aumento di clientela, ma che la crisi ha agito da “livella”, inducendo al pegno anche categorie di persone considerate l’emblema della solidità economica. 

Il punto è la ancanza di denaro liquido mancante. Adesso che i soldi non circolano con la fluidità di prima, anche i ricchi ne risentono e si devono ingegnare per non rinunciare al loro tenore di vita. Così gli imprenditori che non riescono più a pagare lo stipendio degli operai, i dirigenti colpiti da cartelle esattoriali pesanti come macigni, i gioiellieri preoccupati della mancata vendita dello splendido anello svettante nella loro vetrina, si mettono in attesa dietro agli sportelli del Monte con gli anziani che non arrivano alla fine del mese, le coppie in difficoltà col mutuo o il canone d’affitto, persone che debbono fronteggiare il rosso per essersi concesse uno standard più alto del dovuto, casalinghe che devono far fronte alle spese mediche o dentistiche della famiglia. 

Davanti agli imprevisti economici anche di modesta entità, sono in tanti a scegliere la via più diretta per ottenere un’immediata liquidità, impegnando oggetti preziosi, spesso ricordi di famiglia. Sulla bilancia del banco dei pegni finiscono anelli di fidanzamento, braccialetti di battesimo, collane e spille della nonna, anche le fedi nuziali, i gioielli “che non si tolgono mai”. Proprio certi gioielli di famiglia costituiscono l’oggetto del desiderio di antiquari e collezionisti frequentatori d’asta (soprattutto delle cosiddette “specialineì”) in cerca di pezzi particolari, magari per rivenderli a caro prezzo su qualche bancarella dei Navigli. 

Le pietre preziose, attentamente esaminate, sono stimate dagli esperti in base a purezza, colore, caratura; l’oro viene pesato e valutato dai 10-11 euro al grammo in su, valutando i punzoni e l’eventuale firma. È vero che i compra-oro, sempre più frequentati, valutano il prezioso metallo anche 27 euro al grammo, ma è anche vero che l’oggetto, in questo caso, è perduto per sempre.

Firmati a stretto giro i documenti, si esce dal Monte dei Pegni coi soldi in mano, senza le lungaggini e le verifiche richiesti da fidi e prestiti bancari, perché qui basta esibire un documento d’identità e il codice fiscale. Questo prestito al portatore ha scadenza semestrale: il cliente può riscattare gli oggetti e rientrarne in possesso, oppure rinnovare la polizza, per un massimo di 5 semestri, pagando gli interessi maturati nel frattempo. Solo nel caso di mancato riscatto e mancato rinnovo alla scadenza gli oggetti finiscono all’asta. 

A dimostrazione che l’esigenza più sentita è quella di tante piccole emergenze, il taglio medio del finanziamento è piuttosto basso, e consente a un’altissima percentuale di clienti di riportare a casa i loro beni. Il motivo della popolarità del pegno sta quindi nel fatto di basarsi sul valore del bene lasciato in pegno e non sul merito di credito del cliente, nonché nella semplicità del riscatto.  

Questa istituzione è la più antica forma di finanziamento: il pegno è sempre stata considerato la banca dei poveri in ogni carestia, in ogni guerra e periodo postbellico. Ma, mentre in passato al Monte dei Pegni si poteva portare di tutto (era  tradizione dei paesani impegnare il vestito della festa per comprare la semina e andare a riprenderlo dopo il raccolto), adesso si possono impegnare solo oro, argenteria, tappeti orientali annodati a mano, orologi (esclusivamente se nella loro scatola e con garanzia) e pellicce. Al Monte dei Pegni di Torino operano otto periti estimatori, quasi tutti diplomati alla scuola d’arte orafa di Valenza Po con una specializzazione in gemmologia.

Quando, anni fa, si accettavano anche altri generi, come gli elettrodomestici e la biancheria da casa (ricami al tombolo, corredi in lino) ne succedevano delle belle, tanto che non ci si sarebbe stupiti di veder arrivare qualcuno col famoso “paltò di Napolone” del Totò di Miseria e nobiltà. Un cliente, racconta Umberto, una volta appoggiò allo sportello un sacchetto di plastica contenente un paio di scarpe con le calze usate ancora inserite, sperando di impegnare il tutto; un altro depose velocemente una pistola facendo quasi svenire di spavento la giovanissima perita. In ogni caso non si ritiravano pistole ma solo fucili da caccia, a causa delle loro bascole in argento cesellato. Ovviamente i fucili non venivano provati, cosa che invece avveniva con registratori e giradischi allo sportello definito “dei vari”, con un certo divertimento dell’addetto. 

Molti anni fa un signore agée, insospettito dal materiale usato dal suo dentista, pretese che l’esperto allo sportello verificasse che il suo nuovo dente fosse effettivamente d’oro. Il perito, con encomiabile diplomazia, gli spiegò che il liquido di reazione avrebbe potuto corrodere il suo dente, ma lo invitò ad aprire bene la bocca per farglielo valutare.

In questa straordinario osservatorio umano, un fil rouge unisce poveri e ricchi, giovani e anziani, dirigenti e prostitute: tutti si presentano con un'insopprimibile esigenza di giustificare i motivi della loro presenza. Raccontano i loro problemi di salute, di soldi, di cuore, come la ragazza venuta a impegnare i gioielli del suo ex, dei quali non può più sopportare la vista e di cui chiede la vendita anticipata; o il signore che gestisce un albergo in centro, aperto con tanti sacrifici insieme alla moglie, poi scappata col giovanissimo cuoco che avevano allevato come un figlio.

C’è chi prende il pegno con filosofia avendolo acquisito come stile di vita tramandato da generazioni, come la pranoterapeuta che inganna l’attesa dei clienti leggendo nelle loro mani disgrazie e malattie (fortunatamente, tutte immaginarie) o la signora che fin da bambina frequentava il Monte con sua madre. Ma per altri dare oggetti in pegno, quando riapre profonde ferite emotive, è vissuto come un dramma, una sconfitta esistenziale. I valutatori dall’occhio allenato riescono subito a individuare queste persone dallo sguardo smarrito e a trovare l’approccio giusto, che spesso impegna il tempo di una storia: un licenziamento, una malattia, un vizio, un amore finito male. 

I clienti con le loro confidenze “a puntate”, stabiliscono rapporti continuativi con l’esperto che hanno eletto ad amico e confessore; talvolta arrivano col pesto o la torta fatta in casa per ringraziarlo, anche se il prestito è stato esiguo, perché l’ascolto è sempre di inestimabile valore. 

 




 

 

 

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Hanno collaborato a questo numero:

Nico Ivaldi

Roberta Arias
Gabriella Bernardi
Silvia Bia
Francesca Dalmasso
Michela Damasco
Andrea Di Salvo
Marina Rota
Floriana Rullo

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