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Diritto allo studio. Bilancio di un fallimento?

 

 

Il diritto allo studio in Piemonte


di Antonella Capalbi


Parlare di diritto allo studio senza cadere nella facile retorica da salotti televisivi e da pseudo-esperti della “questione giovanile”, oggi, può essere difficile. Analizzare in maniera critica le reali possibilità che buona parte dei giovani ha senza cadere da una parte in una sterile apologia di quella che rischia di diventare una classe protetta per il suo continuo assottigliarsi a causa delle sempre più frequenti fughe all’estero e che, dall’altra parte, riscontra una serie di difficoltà evidenti, può essere problematico. Affrontare poi il problema del diritto allo studio senza rispolverare vecchi slogan e frasi a effetto ma entrando nel cuore dell’argomento può essere veramente rischioso. Eppure, tanti sono stati gli stravolgimenti relativi alla questione studentesca in Piemonte negli ultimi mesi che tentare di porre l’accento sul tema del diritto allo studio e sulle sue sorti sembra necessario. 
Sorti che, a dire di Simone Baglivo, rappresentante degli studenti all’interno dell’Edisu (Ente Regionale per il Diritto allo Studio), paiono tutt’altro che rosee. 
Baglivo presenta un quadro molto chiaro sulle possibilità di studiare in Piemonte e traccia una storia di quello che è sempre stato uno dei punti di forza della regione: la possibilità di garantire a tutti la possibilità di studiare. Ci racconta come, infatti, prima di quest’anno la Regione coprisse interamente i bisogni degli studenti aventi diritto alla borsa di studio garantendo una copertura delle borse al 100%. In sostanza, se uno studente di qualsiasi altra regione sceglieva di studiare in Piemonte e rientrava nei parametri del bando emesso dall’Edisu, aveva la certezza di poter usufruire di quel beneficio documentando un reddito idoneo e, ovviamente, garantendo poi un certo rendimento. 
E proprio per questo, magari, una buona fetta di studenti d’Italia sceglieva di eleggere Torino e il Piemonte a meta prediletta dei propri investimenti economici e intellettivi: poter usufruire di una buona formazione insieme alla certezza di essere sostenuti economicamente all’interno del proprio percorso di studi doveva sembrare un’ottima motivazione. Baglivo entra nel merito della questione economica: “I fondi destinati alla copertura delle borse di studio derivano principalmente da tre ordini di finanziamento. Una parte deriva direttamente dalle tasse universitarie e, in particolare, dalla tassa regionale per il diritto allo studio che ammonta a circa 125 euro; una cifra che, moltiplicata per circa 100.000 studenti permette di raggiungere una somma considerevole (circa 12 milioni) e quindi di coprire una porzione consistente dei fondi destinati alla copertura delle borse. La seconda fonte di finanziamento viene direttamente dal “papà” delle università italiane, il Miur, per una cifra che, pur essendosi assottigliata nel corso degli ultimi anni, va sull’ordine degli 8-9 milioni. Infine, la terza parte di finanziamento fa capo alla Regione Piemonte che ha sempre coperto la fetta più grossa della torta fornendo, negli ultimi anni, una cifra sull’ordine dei 25-27 milioni di euro”.
Già dal 2010 questa cifra aveva subito un grosso taglio arrivando a 17 milioni di euro. Il contraccolpo poté essere superato grazie alla condotta virtuosa dell’Ente che negli anni precedenti aveva risparmiato circa 6-7 milioni di euro, destinati al miglioramento dei servizi ma utilizzati per coprire la differenza e garantire anche per il 2010 una copertura totale delle borse di studio. Veniamo al 2011, l’anno di fuoco. Baglivo ci racconta un inizio anno pieno di speranze. A giugno 2011, l’assessore agli Enti locali Elena Maccanti promette al Cda dell’Edisu una copertura, da parte della Regione, di circa 18-20 milioni di euro. Sebbene non sufficiente, questa somma avrebbe potuto soddisfare le necessità degli studenti pur rendendo necessari due accorgimenti: rendere i parametri del bando leggermente più selettivi, per ottenere un numero minore di beneficiari, e racimolare fondi da altri enti. A settembre l’amara sorpresa su due fronti: da una parte, l’Università e il Politecnico registrano un numero maggiore di iscritti rispetto agli altri anni e, conseguentemente, degli aventi diritto alla borsa di studio (pur essendo stati modificati i criteri di merito e di accessibilità al servizio). Sull’altro fronte, la Regione rivela di poter stanziare solamente 8 milioni di euro, a causa dalla scure tagliente dell’allora Ministro Tremonti. Quindi dei 12000 aventi diritto alla borsa di studio, solo 4000 può usufruirne, e gli 8000 studenti “idonei al conseguimento del beneficio” si vedono scippati della possibilità di continuare il proprio percorso di studio. 
La rabbia prende diverse forme: dal sit-in di protesta all’inaugurazione del Torino Film Festival con slogan coloriti quali “qui fuori si gira un altro film: la fine del diritto allo studio in Piemonte”, alla manifestazione del 10 gennaio, dall’occupazione della residenza universitaria in Via Verdi al presidio del 6 febbraio in Piazza Bodoni in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico. È la rabbia che fa capire che dietro ogni cifra ci sono dei nomi e dei cognomi derubati oltre che di una legittima borsa di studio anche solo della possibilità di pensarlo, un futuro. “E il futuro di questi 8000 derubati, dice Baglivo, dovrebbe indurre a formulare una riflessione più ampia sul futuro dell’intera regione. Inutile stare a ricordare quanto ogni territorio viva dei propri abitanti e di ciò che mettono in circolo: a iniziare dai beni materiali a finire con le intelligenze”.
In un meccanismo di passaparola, com’è tipico degli ambienti giovanili, quanti studenti d’Italia vorranno venire a spendere i propri soldi, ma soprattutto le proprie energie, in una regione che ha smesso di garantire quello che è sempre stato uno dei punti di forza della propria politica e delle proprie città universitarie? Baglivo tiene a sottolineare che “sebbene si cerchi di presentare questa manovra come un modo per agevolare gli studenti del Piemonte a discapito di quelli extra-regione, di fatto il 60% degli ottomila è piemontese”. E se non fa riflettere il fatto che i ristoranti e i bar della città si riempiono di colpo di numerosi giovani camerieri e baristi per i quali arrivare a 28 anni senza essere “sfigati” probabilmente sarà sempre più difficile, faccia riflettere quanto un totale disinteresse per le sorti del diritto allo studio, dell’istruzione e della cultura possa essere una clamorosa battuta d’arresto in quella strabiliante crescita di opportunità che aveva visto Torino (e in generale il Piemonte) candidarsi come il fiore all’occhiello delle attività culturali in Italia. 

2012


 

 

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Hanno collaborato a questo numero:

Nico Ivaldi

Roberta Arias
Gabriella Bernardi
Antonella Capalbi
Andrea Di Salvo
Silvia Nugara
Mauro Ravarino
Marina Rota
Federica Vivarelli
 

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