L’attore con le cuffie da dj
Intervista di Nico Ivaldi
Pur con un curriculum artistico di prim’ordine (film, fiction televisive, teatro, cortometraggi, video musicali, teatro radiofonico) niente, ancora oggi, lo fa vibrare di passione e di energia quanto la musica e la radio. Nonostante siano trascorsi trentacinque anni dal debutto alla consolle. Era il 1977.
Salvatore (detto Tore) Rizzo, 51 anni, torinese di origine calabrese, fisico asciutto, buone letture, musica-dipendente, racconta: “Avevo 16 anni e come i ragazzi dell’epoca ascoltavo alla radio ogni venerdì la hit parade di Lelio Luttazzi e i dischi caldi di Giancarlo Guardabassi. Quando seppi che il mio miglior amico Beppe detto Music Show era andato a lavorare a Radio Centro 95, mi dissi: devo farlo anch’io. Così, dopo una breve esperienza a Radio Rivoli, feci un provino per Radio A.B.C Italiana, una delle principali emittenti torinesi, una radio ricca di personaggi incredibili e creativi come non ho mai più ritrovato da nessun'altra parte”.
Il provino andò male, ma il direttore della radio gli disse: “Per me tu hai del talento, ragazzo. Proviamo con la regia”. Lo misero davanti a una consolle e per Tore tutto fu facile, come se nella sua vita non avesse fatto altro.
“Lavoravo in radio cinque ore al giorno, dalle 19 alle 24. Al mattino andavo a scuola, studiavo da perito elettronico industriale. Dopo il diploma ho provato a fare l’Università, ma dopo tre giorni di Lettere ho abbandonato Palazzo Nuovo perché mi faceva dormire”.
Da A.B.C, Tore emigra a Radio Centro 95, infine a Italia Uno, dove s’inventa il Pomeriggio Giovani, un programma tutto da ballare, anticipazione dell’albertiniana Radio Deejay. Nel frattempo anche Tore vien contagiato dalla febbre del sabato sera e diventa dj al Nepentha.
“Era un locale bellissimo, con la cabina a forma di disco volante. Erano anni, quei mitici Ottanta, in cui la figura del dj era fondamentale. Attualmente, con le moderne strumentazioni, chiunque o quasi può fare quel lavoro, la mano del bravo dj non si sente quasi. Io, ancora oggi, mixo a mano libera, prendendomi i miei bravi rischi”.
Dopo il Nepentha, Tore passa al nuovo Big di corso Brescia. Alzi la mano un cinquantenne di oggi che non abbia mai messo piede al mitico Big, anche solo una volta per sbaglio.
“Il Big era un locale enorme con un impianto luci pazzesco. Il dj era a distanza siderale per chi ballava, le luci apparivano su uno schermo. E io non dormivo mai perché, al mio arrivo a casa all’alba, ero fulminato da quelle luci. Lavorai al Big dall’82 all’84 quando, con l’avvento di un nuovo proprietario, divenne Big Club, e cambiarono i generi musicali”.
Cambia anche Tore Rizzo che, dopo una breve e improvvisa parentesi come animatore in un villaggio alle Maldive (“ero scappato da un giorno all’altro senza avvisare nessuno, ma è stata un’esperienza che non mi ha lasciato niente e che mi ha fatto provare per la prima volta la solitudine”), al ritorno a Torino e seguendo la propria indole, decide di rivoluzionare decisamente il proprio registro artistico.
“Decido di mettermi alla prova nel campo del teatro e m’iscrivo alla scuola di dizione del maestro Iginio Bonazzi, uno dei massimi esperti nell'impostazione della voce. Mi chiamava Salvatòre, come se avesse inghiottito un subwoofer. Sinceramente non ero pienamente convinto di quella scelta, che mi metteva di fronte a regole, io che ero sempre stato un animale libero e avevo sempre seguito il mio istinto. E nemmeno avevo particolari velleità artistiche, al contrario dei miei compagni di corso; però forse ero più bravo di molti, se è vero che l’anno seguente lavoravo già con Massimo Scaglione, con il quale ho fatto molto teatro (da Moliere, a Eschilo, a Schnitzler) e teatro radiofonico”.
Ma nemmeno questa scelta sembra appagarlo, poiché Tore sparisce di nuovo dalla circolazione, e non più per un mese ma per ben due anni.
“Nel ’91 vado in vacanza a Conversano, in Puglia, per trovare alcuni amici. Dovevo restarci una decina di giorni, poi tornare a Torino e di qui ripartire per un viaggio in Giamaica. Senonché il viaggio salta e io decido di rimanere al Sud.”
Cosa cercavi in Puglia?
“Forse una diversa qualità della vita: io amo il mare, il sole, la vita tranquilla. In realtà, durante quel lungo soggiorno, mi sono rilassato ben poco: tanto per non stare con le mani in mano, ho lavorato come speaker per Radio Norba, forse la più importante emittente del Sud. Inoltre ho recitato col comico Gianni Ciardo e messo in piedi un gruppo musicale, i Manbassa, così chiamati perché razziavano tutti i generi musicali. Io ero uno dei due cantanti e scrivevo canzoni demenziali. Poi il gruppo si è sciolto per mancanza di organizzazione, ma per il sottoscritto è stato un successo personale senza precedenti: i giornali parlavano di me, di volta in volta, come speaker radiofonico, attore e cantante. Insomma, per la prima volta ero un artista completo!”
Anche la luna di miele con Radio Norba finisce e Tore Rizzo rifà le valige e torna al Nord, dove l’attende – indovinate un po’? – il suo amore di sempre: la musica. Riparte da dov’era rimasto: le discoteche, in particolare il Big dove, per la prima volta, cambia genere e si dà al rock. Ma la sua irrequietezza non è ancora giunta alla fine, ed ecco assumere le sembianze di un set cinematografico.
“Comincio con un piccolo ruolo – il portinaio che diceva parolacce - nel film Tutti giù per terra di Davide Ferrario e da quel momento non mi sono più fermato: ho lavorato con Roberto Faenza e Dario Argento, tra i principali registi. E ho girato moltissime fiction televisive di successo: Don Tonino, Vivere, Centovetrine, Don Bosco, Lo smemorato di Collegno, senza dimenticare Scherzi a parte”.
Mentre la musica gli mette il buonumore, parlando di film Tore Rizzo si rabbuia.
“Il fatto che abbia lavorato in undici film e ventun fiction televisive non significa niente: non mi sento un attore. Ma non tanto per demerito mio, quanto perché lavorando a Torino è molto difficile mettersi in mostra e ottenere parti di una certa importanza. Torino è solo una splendida location, ma è a Roma che si decide tutto”.
Perlomeno una buona esperienza te la sarai pur fatta…
“Non è proprio vero, anzi, forse è l’esatto contrario. Il lavoro sul set, lungi dall’arricchire il mio bagaglio artistico, l’ha indebolito: credevo d’imparare qualcosa e invece non è stato così. Sono stato e sono testimone in prima persona dello scadimento del cinema italiano, dove le brutte sceneggiature, le pessime recitazioni, il dilettantismo dominano su tutta la linea. Pensa che, durante la lavorazione di un film, un regista mi ha perfino rimproverato di parlare “troppo bene” l’italiano: di fronte ad attori che biascicano parole, che non si fanno capire, a me è stato rimproverato di avere una perfetta dizione. Ciò la dice lunga sullo stato di coma del nostro cinema”.
Non è un caso che Tore Rizzo abbia smesso di guardare film italiani da quando sono scomparsi i grandi maestri del passato, nella recitazione e nella regia: da Sordi, a Mastroianni, a Gassman, a Tognazzi, Germi, Monicelli.
“A me piacciono gli attori che sanno trasformarsi, come gli inglesi e gli americani. Penso a grandi interpreti come Michael Caine, Danny DeVito, Joe Pesci, tanto per citare i primi tre che mi sono venuti in mente”.
L’unica produzione cinematografica nella quale Rizzo si è sentito molto coinvolto rischia di non vedere la luce per motivi finanziari. “ È un film intitolato I tredici, un thriller risorgimentale ambientato a Torino, dove io interpreto la parte di un vescovo” commenta amaramente. “Credevo molto in questo film, e come me tutti gli altri altri interpreti, artisti molto bravi.”
Almeno il teatro non l’ha mai deluso: “In teatro trovi sempre gente preparata, se non sei bravo non puoi nasconderti, come succede invece al cinema. Mi hanno appena proposto un bel ruolo in un giallo, un genere che adoro, come adoro le commedia e il grottesco. Basta con i ruoli drammatici, ho già dato”.
Oggi Tore Rizzo è ritornato da dov’era partito. All’amata radio.
“Siccome ho ripreso a mettere musica nei locali ho pensato di proporla anche in radio, di nuovo a Italia Uno, in una trasmissione di un’ora la settimana che si chiama Afrosystem. Passo ore e ore nel mio studio a preparare le scalette. Ascolto, provo, mixo. Ho ritrovato questa grande passione per una musica, quella cosiddetta afro, ma che in realtà mescola molti generi, che è difficile da mixare. Ed è qui che si vede l’arte del vecchio dj che non trovi più da nessuna parte. Con altri generi musicali è più facile fare questo lavoro, mentre a Italia Uno mi sento ancora protagonista, sono sicuro di fare vivere al pubblico grandi emozioni”.
Chiudiamo con una domanda in perfetto stile marzullesco: chi è oggi Tore Rizzo?
“Un uomo fortunato perché si diverte ancora oggi con la musica, dopo trentacinque anni e mille esperienze”.
Ma, conoscendolo, non è detto che siano finite qui..