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Baci urbani

 

Il piercing di Piazza Corpus Domini


di Antonella Capalbi

 

Il piercing"È delle città come dei sogni: tutto l'immaginabile può essere sognato ma anche il sogno piú inatteso è un rebus che nasconde un desiderio, oppure il suo rovescio, una paura. Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure, anche se il filo del loro discorso è segreto, le loro regole assurde, le prospettive ingannevoli, e ogni cosa ne nasconde un'altra”.

Sembrerebbe che Italo Calvino, nel formulare questa descrizione poetica e realistica delle città abbia pensato a una città come Torino. E in particolare a una porzione speciale di Torino: la piazzetta Corpus Domini. Tra eleganti palazzi ottocenteschi e la settecentesca chiesa che dà il nome alla piazza, infatti, da ormai quasi cinque anni si staglia, dal quarto piano di uno di questi raffinati edifici, un piercing. Ed è così che l’assioma di Calvino prende vita e forma: ogni cosa ne nasconde un’altra. 

In un clima elegante e sobrio appare un oggetto che stupisce i passanti e che appartiene a tutt’altro mondo, a tutt’ altra estetica: il gigantesco anello che macchia di gocce di sangue, un po’ rosso e un po’ blu( è un palazzo nobiliare, forse? ) sembra dirci quanto la città possa sorprendere.

Progettata nel 2006 dall’anticonformista architetto Corrado Levi, membro del collettivo Cliostraat (un gruppo d’architetti con l’obiettivo di far correre su unico filo arte, architettura e design, alla stregua del poeta-funambolo immaginato da Maxence Fermine), l’opera, dal titolo “Baci urbani”, doveva costituire solo un terzo di quella che potremmo definire una trilogia d’arte urbana.

Ispirata ai principi della body art prevedeva, infatti, altri due atti: l’apertura di un chiosco itinerante di bibite come luogo di ritrovo per i più giovani, e la possibilità di tatuare un altro edificio. Soltanto il piercing ha potuto trovare la sua collocazione sul gigante ombelico di cemento costituito dal centro storico di Torino, grazie ai finanziamenti dell’imprenditore De Giuli che, tra l’altro, mise a disposizione l’epidermide su cui incastonare quest’idea originale: uno dei suoi palazzi. A cinque anni dalla realizzazione di questo gioiello del gusto della provocazione, la città di Torino mostra reazioni tra le più positive e decreta la totale acquisizione di quello che ormai è ritenuto un simbolo e rappresenta una delle mète maggiormente consigliate all’interno degli itinerari turistici della città. E non solo. Perchè se il piercing ai turisti piace, agli abitanti della città piace ancora di più. E come ogni acquisizione che si rispetti è connotata da un battesimo: quella che ormai è definita “la via del piercing”, soprattutto dai suoi giovani frequentatori, è diventata un luogo familiare anche per la presenza di questo insolito connubio tra sobrietà e irriverenza, raffinatezza e provocazione, passato e futuro.

Ed è curioso appostarsi sotto il grande anello che abbraccia il palazzo come un giovane abbraccia il proprio genitore e ascoltare le varie ipotesi che i passanti formulano sul suo significato o sul significato delle gocce, per esempio: è acqua; è sangue blu; è un modo per dire che Torino è una città giovane; indica che la città è viva e respira, proprio come noi, i suoi abitanti.

Tutte ipotesi curiose e suggestive e che consacrano l’arte a quello che è il suo ruolo: interrogare e farsi interrogare. E nel pieno stile della body art il piercing ci dice che anche la città si interroga e vive, proprio come il nostro corpo e come la mente umana.
Proprio come Alicia Keys, sulle note di un pianoforte caldo, ci racconta quanto anche la sua New York rappresenti per lei uno stato mentale, un “empire state of mind”, il grande piercing torinese, macchiando con un po’ di colore il palazzo ottocentesco a cui si lega, ci fa ricordare quanto, esattamente come la mente umana, anche la città sia in grado di partorire e immaginare le cose più diverse. A partire dagli incubi più terrificanti e i mostri a cui neanche un indagatore dell’incubo provetto come Dylan Dog vorrebbe dare la caccia (alienazione, paure e quanto più negli ultimi secoli ha affollato numerose pagine di letteratura e scienza con l’obiettivo di raccontare e spiegare la realtà urbana) fino ad arrivare a qualcosa di meraviglioso: un’architettura che ti fa sentire a casa, per esempio. Ed è questo che Torino sembra dirci accogliendo un inconsueto ospite tra i suoi palazzi e le sue dimore ricche di storia e, perchè no, di classe: in questa città c’è posto per eleganza e giovinezza, per giacche accompagnate dall’immancabile 24 ore e zainetti disordinati, per cravatte e perline colorate, per palazzi raffinati e piercing incastonati. 
Ed è questa l’impressione che il matrimonio tra il piercing e la sua pelle di cemento suscita anche all’osservatore più distratto, anche a chi è di passaggio, anche a chi di questa città conosce poco e non ne è un frequentatore assiduo. La città in cui la Mole Antonelliana strizza l’occhio ai suoi abitanti da circa 150 anni e ospita il Museo Nazionale del Cinema, la città che mentre custodisce l’antichissimo velo della Sindone attiva la prima metro automatizzata d’Italia, la città che mentre ospita l’autoritratto di Leonardo da Vinci nella Reggia di Venaria si apre alle provocazioni di Duchamp e alle riletture di Andhy Warhol, ci ricorda che un insieme di edifici non è soltanto edilizia selvaggia (come pure spesso accade) o cemento misto a smog: può essere un corpo vivo e, soprattutto, una mente di ampio respiro.
Incastonando un piercing in un palazzo storico nell’anno in cui la città avrebbe ospitato un evento mondiale Torino sembra dire che è una padrona di casa generosa e che pur non accantonando un passato ricco di storia e raffinatezza non ha paura di guardare al futuro.
Ogni città riceve la sua forma dal deserto a cui si oppone”, continua Calvino nel suo gioiello letterario Le città invisibili. E alla desolazione di idee e prospettive che in tempi di crisi spesso caratterizza proprio chi quel piercing magari lo indosserebbe, a politiche senza respiro quel grande piercing si oppone. Come un totem sembra un monito all’osare e al coraggio di credere che un connubio di mondi diversi può esistere e vale la pena di investire nel pensiero originale: la materia prima “delle città come dei sogni”.

 

Questo articolo ha ricevuto una menzione alla V edizione del Premio Piemonte Mese, Sezione Cultura e Ambiente

 

 

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Marzo 2012

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Hanno collaborato a questo numero:

Nico Ivaldi

Roberta Arias
Gabriella Bernardi
Oscar Borgogno
Antonella Capalbi
Michelangelo Carta
Eleonora Chiais
Giulia Dellepiane
Sabrina Roglio
Marina Rota
 

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