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L'anima nel comò. Lo psicodesign di Ernestina Rossotto

 

 

 

Ernestina Rossotto e il suo psicodesign

 

di Marina Rota


 

Essere a casa, tornare a casa, sentirsi a casa, mandare a casa (metafora soprattutto politica) sono espressioni ricorrenti che dimostrano quale significato non solo fisico ma anche simbolico rivesta il nostro habitat: rifugio stabile, spazio vissuto e protettivo contrapposto all’ignoto. 

Sostiene il filosofo Galimberti che “l’identità personale è costruzione della memoria fatta anche di case vissute”: attraverso la casa l’uomo si definisce e si dà dei confini. Sconvolgente è quindi il senso di irrealtà e di smarrimento quando si perde la propria abitazione in occasione di guerre, terremoti o altre calamità. 

Non molto, in fondo, è cambiato dai tempi delle caverne: i nostri antenati tracciavano disegni sulla pietra per testimoniare la loro evoluzione personale e sociale, come noi ci rappresentiamo con ambienti, mobili, quadri che con gli anni, allacciandosi intimamente a pensieri, presenze, ricordi, diventano topografia della nostra anima. Così, osservando con sguardo ricettivo la disposizione degli oggetti, l’ordine o il disordine, la maggior o minore cura dedicata alle zone private o di rappresentanza di una casa, si potrebbe delineare il ritratto psicologico di chi vi abita. 

Ernestina Rossotto

Non è quindi sorprendente che una psicoterapeuta come Ernestina Rossotto, laureatasi alla Sapienza di Roma, abbia molto riflettuto sul legame fra la persona e il suo ambiente; l’aspetto sorprendente è che ne abbia fatto un’arte. Un’arte non solo per appagare l’istinto creativo e la ricerca dell'armonia che l’hanno accompagnata in ogni sua esperienza, ma, anche, per riscattare una realtà faticosa, “Nel mio lavoro di psicoterapeuta sono stata così a contatto con la sofferenza, racconta Rossotto con la sua piacevole ‘erre’ arrotata, che temevo di perdere di vista il senso del bello. Non necessariamente la conoscenza della sofferenza deve condurre alla sofferenza! Così ho pensato di proporre una visione alternativa, secondo me necessaria in questo periodo storico di depressione, di fatica di vivere e sorridere”. 

Ernestina Rossotto ha allora deciso di dedicare la sua conoscenza e la sua fantasia allo psicodesign, movimento creativo seguendo il quale, analizzato il valore estetico degli  oggetti di arredo, si arriva a riposizionarli e rivalutarli all’interno dell’ambiente, per realizzare la simbiosi fra l’uomo e lo spazio vissuto: “attraverso lo psicodesign, spiega l’artista, cerco di entrare non solo nell’anima delle persone, ma anche degli ambienti e degli oggetti”.

Nell’arredo spesso si attribuisce importanza alle tendenze di mercato: sarà capitato a molti di scoprirsi a disagio nella propria casa funzionale ma spoglia, con elementi tecnologici tanto invisibili quanto costosi, o di trovare segretamente orribile quel mobile “d’autore” acquistato per testimoniare al mondo uno status, “Sono scelte assurde”, commenta Rossotto. “Lo spazio in cui viviamo deve essere un vestito in cui si sta comodi; una nicchia con la quale creare il transfert profondo che abbiamo sperimentato in epoca prenatale nel ventre materno e in cui sentirsi pienamente accolti e rappresentati”. 

Lo psicodesign si diverte a reinventare la funzionalità degli oggetti, a modificare i materiali per adattarli alle esigenze personali. Una sedia non serve solo a sedersi; e i mobili ormai danneggiati o demodé si possono recuperare e diventare una vera opera d’arte, con pochi e mirati interventi, e materiali spesso poveri. Nell’atélier di Ernestina - una specie di fucina alchemica - i tubi dell’acqua sono utilizzati come appendini, o come bastoni reggitende, e tutti i mobili sono stati recuperati e rivisti: anche un anonimo tavolino marron, che, trattato e rivestito in foglia d’oro, si è trasformato in un mobile dannunziano, ricco di una sua personalità ironicamente pomposa. 

L’incontro fra psicologia e design potenzia l’immagine di una casa aderente alla nostra personalità come una “pelle psichica”. D’altronde, le metafore collegate alla casa sono state ampiamente utilizzate nella letteratura e nel cinema: basti pensare al grado di suspence che un film giallo riesce a provocare con  la ripresa di una scala a chiocciola verso il basso, di una finestra come occhio attraverso il quale si assiste a un omicidio, o con lo scricchiolio sinistro di una porta…

A questo proposito, non è un caso che entrare nella lounge gallery della Rossotto in piena San Salvario sia come aprire la porta su un mondo. Infatti, una delle passioni predominanti dell’artista sono proprio le porte. “ È vero che le porte si usano per separare gli ambienti, ma a me piace immaginarle aperte verso un ‘oltre’”. Una porta non è infatti solo un passaggio fra due luoghi, ma anche un diaframma che consente la comunicazione tra fasi esistenziali, culture, stati d’animo, tra vecchie abitudini e nuovi comportamenti, fra conosciuto e ignoto, serenità e paura. Non a caso, l’atto di varcare una soglia è sempre stato rivestito di un significato sacrale.

Tutte le nostre case sono copiosamente dotate di porte, commenta Rossotto, e allora, perchè non metterci sopra qualcosa di bello?'”. Alcune delle sue porte sono state create o trasformate per armonizzarle alla “porta interna” di chi le utilizza; altre invece sono pura espressione della sua creatività. “Per le mie porte ho utilizzato materiali d'avanguardia in campo decorativo, lavorando con tappezzeria, bulloni, rondelle, pietre, specchi, reti metalliche, fotografie”. Così, sulle porte del suo atelier sfilano disegni e rappresentazioni grafiche che dimostrano una incessante ricerca evolutiva di forme, colori e tecniche: sezioni di Fiat 500 e di moticiclette, ritratti di aristocratici del '700, un'affascinante figura femminile di Boldini su sfondo nero; una giarrettiera incorniciata in campo d’argento. 

Oggettistica

Questa porta esprime il mio concetto di femminilità, che ha un colore freddo”, precisa  Ernestina Rossotto.  “La femminilità è argento, la mascolinità è oro. Ossia: è l’uomo che deve avvicinarsi. La donna spesso si propone in modo volgare, brutale. Non è questo il ruolo che le si addice: per andare avanti occorre fare un passo indietro, e recuperare in chiave moderna la cultura della profonda diversità fra i due sessi, pur dando per scontata l’uguaglianza ormai conquistata. A questo pensavo, creando la porta femminile”. 

Un’altra porta, tappezzata di giornali arabi, giapponesi, rumeni, rappresenta l’omaggio dell’artista a San Salvario, quartiere multietnico dove si tenta l’integrazione, e dove lei si trova a suo agio, attenta a catturare una diversità che può anche essere ricchezza. ”Tutti questi sono esempi di come si possano reinventare, anziché cambiare, le porte di casa; con un contenuto impegno di spesa e il vantaggio della personalizzazione”.

La creatività di Ernestina si è recentemente concentrata anche sul vino, che, presente in tutte le circostanze significative della nostra vita, suggella la convivialità, l’accoglienza, il calore dell’amicizia: per la serie “Libiam nei lieti calici”, Ha ideato etichette per vini; shopper portabottiglie con stampe delle sue opere; cofanetti che raccolgono 12 sue cartoline da “degustare”, con le evocazioni figurative e cromatiche ispirate dall'unicità di ogni vino: il Prosecco, la Barbera, il Dolcetto, lo Chardonnay…

Sorride Rossotto fra le sue coloratissime tele di poliuretano espanso: ”Oggi un amico mi faceva notare che sembra impossibile conciliare tanta creatività col mio essere madre di due figli adolescenti. Effettivamente… È solo questione di organizzazione, soprattutto mentale. Non è così complicato, anche se non nego che sia faticoso. Penso che i molteplici aspetti della mia attività siano utili anche ai miei figli. Il mio obiettivo è quello di crescere persone pensanti, responsabili, di dare al mondo due uomini degni di essere definiti tali, perché altre donne al mio posto possano dire che accanto a loro c’è un uomo”.

Obiettivi ben poco diffusi fra le mamme-chioccia italiane… Anche questa è arte; e, anche in questa, Ernestina Rossotto si dimostra una outsider.


2011

 

 

 

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Hanno collaborato a questo numero:

Nico Ivaldi

Roberta Arias
Gabriella Bernardi
Eleonora Chiais
Michela Damasco
Giulia Dellepiane
Ilario Metelys
Marina Rota
Sabrina Roglio

 

 

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