Come sarà la lingua italiana fra cinquant'anni?
di Eleonora Chiais
Se “tergiversare”, nel vocabolario di alcuni, significa “detergere in profondità” e “esecrabile” secondo altri è qualcosa che concerne le ghiandole endocrine, non deve stupire il progetto “Adotta una parola” lanciato dalla Società Dante Alighieri in occasione dell’80° Congresso Internazionale che si è svolto a Torino alla fine di settembre.
I linguisti si schierano per la salvaguardia della lingua chiedendo però aiuto agli amanti dell’idioma nostrano e ai simpatizzanti che potranno vestire i panni dei tutori di alcune parole, considerate a rischio di estinzione, proponendole nella loro quotidianità e riportando sul sito della Società le stranezze connesse al loro quotidiano lavoro di custodi della lingua. D’altra parte in epoca di tweet e messaggini è legittimo chiedersi che cosa stia succedendo all’italiano e soprattutto quale futuro lo attenda nei prossimi 50 anni.
Per tentare di dare una risposta a questo annoso interrogativo nel congresso della società di linguistica gli esperti in materia hanno ragionato sul tema “Unità d’Italia e Unità linguistica tra passato e contemporaneità. Quale lingua nel 2061?” discutendo forze e debolezze della lingua di Dante a 150 anni dall’unità nazionale.
L’Italia parrebbe, oggi come allora, un paese di santi, poeti, navigatori ma anche, perché no, di linguisti. Attraverso un patrimonio linguistico e culturale condiviso il popolo italiano ha maturato un sentimento di comune appartenenza che, soprattutto in occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, si rinnova, divenendo più vivo e consapevole.
Ma consapevole lo sarà davvero? A saperlo con certezza saranno solo i custodi delle parole in disuso impegnati ogni giorno a trascrivere i nuovi significati attribuiti a vocaboli come gongolare, cianfrugliare o ravanare. Tra gli esperti convocati sotto la Mole, invece, il dubbio diffuso è invece che, in tempo di crisi economica e valoriale dell’intero paese, il senso di appartenenza alla propria lingua possa improvvisamente modificarsi fino a perdere il suo status di valore su cui investire. Dunque l’italiano di domani potrebbe modificarsi anche per questo motivo fino a trasformarsi in una nuova lingua ibrida e, soprattutto, condizionata dalle comunicazioni sempre più veloci e dall’influenza degli idiomi stranieri. Il futuro di “rifocillare” sarà dunque un asettico to feed? Non è dato sapere, ma la speranza è almeno che “gracidare” non si tramuti nel cacofonico to squawk e che il “rimbrottare”, appannaggio delle nonne del Belpaese, non viri risolutamente verso le coniugazioni del verbo to scold. E se charmant e à la page sono già entrati nel comune linguaggio italico è quantomeno strano pensare a quando i ragazzini si saluteranno dicendosi Salam.
Se sulla lingua di domani oggettivamente “non v’è certezza”, il momento è maturo almeno per tirare le somme sull’italiano targato 2011. Nel corso dei simposi e dei dibattiti gli studiosi si sono interrogati così sulle presunte difficoltà del linguaggio scolastico dei giorni nostri ma anche sull’evoluzione dell’idioma nostrano scatenata dall’avvento delle nuove tecnologie e sui vantaggi (o svantaggi) delle rielaborazioni dell’italica lingua nella terminologia scientifica.
Che dire poi degli influssi sul linguaggio a seguito dei cambiamenti politici? Insomma, per rimanere nella stretta attualità, come e quanto il processo di unificazione politica culturale ed economica in chiave europea sta portando cambiamenti nella lingua degli avi? Da Gian Luigi Beccaria al costituzionalista Gustavo Zagrebelsky molti esperti si sono alternati durante il convegno per risolvere dubbi di questo tipo e proporre accostamenti (ovviamente linguistici) all’insegna dell’originalità, come quello tra lingua, scienza, matematica, economia e design.
Guardando poi alla lingua del passato, i linguisti della Società Dante Alighieri hanno aperto anche una parentesi manzoniana con la presentazione della riproduzione in fac simile del manoscritto firmato dall’autore de I promessi sposi: Dell’Unità della lingua e dei mezzi per diffonderla. Il dattiloscritto di Alessandro Manzoni, posto sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana, è stato presentato con l’accompagnamento dall’edizione critica a cura di Claudio Marazzini e Ludovica Maconi. La nota relazione, scritta nel 1868 proprio per affrontare il problema di una possibile lingua unica e unitaria, contiene d’altra parte elementi di grande attualità come l’invocazione ad “un mezzo unico il quale possa soddisfare il bisogno rilevantissimo d’intendersi gli uomini dell’intera nazione tra di loro, il più pienamente e uniformemente che sia possibile”. Insomma, un autentico manifesto della necessità di una lingua patria scritto da Manzoni sei anni dopo aver ricevuto l’incarico di entrare a far parte della Commissione per l’unificazione della lingua.
In pratica, ecco la dimostrazione nero su bianco, a quasi 150 anni di distanza, che il problema dell’unificazione linguistica è antico almeno quanto l’unificazione stessa. Ma, sussurrano nemmeno troppo a bassa voce molti storici, il primo problema dell’allora neonata nazione fu soprattutto l’imposizione di una “piemontesizzazione” anche linguistica a tutta la penisola.
Non è d’accordo, e lo ha detto chiaramente durante il congresso torinese, Alessandro Barbiero che ha preso la parola con un intervento costruito proprio per ricordare i movimenti sabaudi dell’epoca. “Non si può dire, ha sottolineato il docente dell’Università del Piemonte Orientale, che il Piemonte abbia condizionato l’Italia ma piuttosto che l’Italia abbia condizionato il Piemonte. Un’elite proveniente da tutto il Paese, infatti, si è concentrata nel parlamento piemontese fin dagli anni precedenti l’unificazione proprio per lavorare in team alla creazione di uno stato che riuscisse a riunire, sotto la linea guida della capitala sabauda, particolarità, eccellenze e tradizioni dell’intero territorio”.
Dunque una nazione unita fin dalle origini grazie ovviamente al contributo della lingua di Dante. E proprio con lo scopo manifesto di non dimenticare il padre del nostro idioma è nata la seconda iniziativa firmata dalla società che porta il suo nome, impegnata a proporre una rilettura in chiave contemporanea del poema con i 100 dvd di In viaggio con Dante. In questo viaggio virtuale nei Canti della Divina Commedia gli studiosi del linguaggio propongono una rilettura di Inferno, Purgatorio e Paradiso visti però attraverso una serie di luoghi della penisola chiamati a diventare “testimonial” dell’attualità del poema stesso.
Tirando le prime somme, se l’iniziativa “Adotta una parola” ha attirato già dai primi giorni un gran numero di aspiranti custodi tra studenti, docenti e amanti della lingua, non meno seguita è stata questa seconda proposta a riprova del fatto che l’italiano, di oggi di ieri e di domani, è ancora un argomento che fa discutere. E poco importa se in concomitanza con il prossimo convegno, previsto a Cagliari nel 2013, i termini “miodistrofico” e “psicogalvanico” risulteranno oscuri agli utenti di Facebook.
2011