Un pezzetto di Torino a Parigi
di Giulia Dellepiane
Bere un buon caffè espresso all'estero è molto difficile. Perciò potrebbe sembrare assurdo, per esempio, ordinare un bicerin a Parigi. O forse no. Tra il museo Pompidou, l'Hotel de Ville e la Senna, all'88 di rue Saint Martin c'è un'ambasciata del gusto e della cultura torinesi: il caffè Miroglio, che prende il nome dalla signora Marina, nata a Nizza Monferrato e cresciuta a Torino.
Ma qui non si trova solo il bicerin fatto come si deve, perché tutto nel locale ricorda la città e i suoi prestigiosi caffè storici: la pasticceria secca, il cioccolato, l'aperitivo, l'arredamento e persino il servizio. Ogni particolare è attentamente curato: “Quando ho vissuto sotto la Mole ho frequentato giornalmente i caffè storici, spiega la signora Miroglio, e a Parigi mi sono mancati tantissimo: per questo ho ideato questo locale tre anni fa”. E ha avuto subito un grande successo, non solo tra i tanti torinesi trapiantati a Parigi, com'era facile prevedere, ma anche tra tutti coloro che amano il vero caffè italiano.
Partiamo dagli inizi: com'è arrivata nella capitale francese?
“Mi sono trasferita per amore ventisei anni fa e poi sono rimasta. Facevo l'organizzatrice di eventi, tra cui serate dedicate alla conoscenza della nostra cultura e in particolare dei prodotti tipici. Da sempre però mi è mancato il mio cappuccino del mattino prima di andare a lavorare”.
E così ha deciso di aprire un vero caffè torinese.
“Anche perché sentivo continuamente gli italiani lamentarsi dell'assenza di un luogo di ritrovo del genere, mentre non mancano ristoranti, centri culturali e associazioni. Allora cinque o sei anni fa ho cominciato a pensarci e appunto tre anni fa l'ho fatto. Ho scelto di aprirlo a Le Marais perché è il quartiere storico italiano: tra la metà del '200 e la metà del '300 si erano installati qui i cosiddetti lombardi, che in realtà provenivano da tutto il nord Italia. Poi mi sono occupata dell'arredamento: volevo avere un grande bancone come quello di Baratti. L'ho disegnato io, ho trovato le decorazioni e l'ho fatto costruire sul posto. Altro elemento tipico dei caffè storici è la vetrina che deve essere molto curata, con i prodotti in mostra, come la pasticceria e i panini. I caffè francesi invece non hanno vetrine e spesso non hanno la pasticceria. L'interno l'ho voluto come un salotto, dove le persone si sentono bene, a casa. Mi dicono tutti che è raffinato ma non freddo”.
Aveva mai gestito un locale del genere prima d'ora?
“Mai. Ho imparato, l'ho scoperto: è un avventura. Ho fatto venire un barman torinese, Massimo Colomba, che ha lavorato da Miretti, al Gran Bar e da Pepino. È lui che forma tutta l'equipe sulla caffetteria torinese e italiana, i cocktail e gli aperitivi italiani ed è sempre lui che ha creato la nostra apericena. È un grande professionista e i francesi hanno cercato più volte di prendermelo. So che tantissimi barman parigini si dicono tra loro: vai al Miroglio a vedere come lavora Massimo".
Quante persone lavorano con lei?
“Oltre a Massimo, ho sei persone a tempo pieno e tre a metà tempo e sono tutti italiani eccetto uno. Vengono da Toscana, Veneto e Sardegna. A loro chiedo di servire i clienti secondo i criteri torinesi: sorridere, essere accoglienti come a casa, chiedere se va tutto bene, spiegare le cose. Il cliente deve sentirsi subito a suo agio e tranquillo nell'usare lo spazio. Gli italiani sono abituati a questo trattamento, ma i francesi no. Infine per lanciare il bar ho usato la rete di contatti che mi ero creata con il mio lavoro precedente. I miei vecchi clienti sono venuti per primi e hanno sparso la voce: subito c'è stato un gran parlare”.
Quali sono i vostri prodotti più apprezzati?
“Sono fiera di dirlo: tutto ciò che è intorno al caffè. Caffè, cappuccino, cioccolata calda. I clienti dicono che siamo unici per qualità. Gli aperitivi si svolgono secondo il rito torinese, l'apericena. A Parigi non si dà quasi niente con le bevande. Facciamo anche il buffet italiano a mezzogiorno e il brunch nel week end. Tra i dolci piace tantissimo il bunet, che anche una parte degli italiani non conosce. Ma anche il gianduia e la nocciola gentile che uso sia nel dolce che nel salato o la servo anche da sola. Tra il salato: il bagnet, i funghi, i salatini che facciamo noi nel nostro forno”.
Nel suo caffè lei continua a fare anche il suo mestiere precedente, organizzare eventi?
“Sì, e sono tantissimi: concerti di musica, presentazioni di libri, conferenze e conferenze stampa. L'ultima era sulla Merenda reale, che io proporrò durante tutto il 2011 per il 150° dell'Unità d'Italia, ed era presente anche Ugo Perone, assessore alla Cultura della Provincia di Torino. La Merenda reale si faceva per i Savoia nell'800 nei caffè storici torinesi: i clienti erano costretti a uscire e a tornare quando i reali avevano finito. Io la proporrò con il bicerin fatto come nell'800 con i tre bicchierini, detti stisse, cioè gocce, con caffè, cioccolato e crema di latte che il cliente combinava a piacere, più i biscotti tipici piemontesi: meliga, krumiri e baci di dama che qui piacciono tantissimo, il Garibaldi, inventato in Inghilterra in suo onore, i nocciolini e le lingue di gatto”.
Tra i suoi clienti ha anche dei vip?
“È venuto Arturo Brachetti, ma io non c'ero e lui mi ha lasciato un messaggio: “Brava Marina, hai portato un pezzetto di Torino a Parigi". Paolo Fresu è venuto qui da noi a farsi intervistare da giornalisti francesi, come Gianmaria Testa, che si è fatto intervistare qui telefonicamente. Gabriele Mirabassi è stato anche lui nostro cliente. Tutti hanno bevuto il caffè, che è la cosa che agli italiani all'estero manca di più”.
Quali sono i suoi progetti per il futuro?
“Mi sarebbe piaciuto aprire altri caffè come questo in ogni città francese. Sovente le persone mi dicono: perché non lo fa anche da noi?. Anche all'estero me lo chiedono: Londra, Barcellona, Giappone, New York. Il caffè torinese è un insieme di piccoli piaceri poco cari in un ambiente raffinato e questo all'estero manca. Ma voglio aggiungere una cosa: sono molto fiera della mia regione e della mia città, di cui ci sono moltissime cose da far scoprire. Io parlo tantissimo di Torino ai clienti e mostro i libri che ho su di essa, invito a vederla perché come meta turistica secondo me è ancora troppo poco conosciuta, e lo stesso vale per il Piemonte. I clienti che vanno a vedere i nostri luoghi poi mi dicono: abbiamo capito cosa voleva dirci. Mi sento una fiera ambasciatrice”.
2011