UN UOVO OGGI E UNA GALLINA DOMANI
Sono piemontesi due razze avicole fra le più prelibate e richieste in Italia
Giulia Dellepiane
Meglio un uovo oggi o una gallina domani? L’Italia può scegliere entrambi, perché è autosufficiente per quanto riguarda l’avicoltura. In questo settore il Piemonte è la quarta regione per importanza dopo Veneto, Emilia Romagna e Lombardia.
“L’allevamento intensivo subalpino conta circa 20 milioni di polli da carne all’anno, pari al 3,5% della produzione italiana, a cui si aggiungono circa 3 milioni e mezzo di galline ovaiole, pari all’8% del totale nazionale”, spiega Ivo Zoccarato, docente di Avicoltura all’Università di Torino. “Si può ritenere che nella nostra regione l’allevamento rurale, che è destinato quasi esclusivamente all’autoconsumo, rappresenti circa il 5% della produzione, analogamente alla situazione nazionale”.
Mentre l’industria alimentare si serve di ibridi selezionati ad hoc, nei pollai di campagna si trovano ancora le razze autoctone italiane, tra cui le subalpine: la bionda piemontese e la bianca di Saluzzo. Entrambe sono di taglia media, derivano il nome dal colore del piumaggio e sono da carne più che da uova. Essendo sparpagliate nelle cascine, non si conosce la loro esatta consistenza numerica.
Non ci sono differenze nutritive tra le razze tradizionali e gli ibridi industriali, “ma ce ne sono in termini di parametri organolettici: tenerezza, colore, contenuto in acqua della carne, continua Zoccarato, ed è veramente difficile confrontare i prodotti che sono ottenuti da animali e secondo modalità molto diverse”.
L’allevamento intensivo dei polli da carne si basa sui due ibridi Broiler e Pesante: “Il primo cresce in cinque-sei settimane, arriva a pesare due chilogrammi circa ed è destinato ad essere venduto intero anche nelle rosticcerie, spiega il docente, il secondo cresce in otto-dieci settimane, arriva a superare i quattro chilogrammi e serve per la produzione di tagli anatomici, come il petto, destinati alla sezionatura”. Non solo dunque questi animali vengono macellati entro i due mesi di vita, mentre un pollo allevato tradizionalmente viene portato a cinque-sei mesi, ma le aziende che allevano broiler e pesanti sono talmente specializzate da trattare solo un ibrido o l’altro.
Se il professore ritiene che non si possano paragonare i due tipi di produzione, di tutt’altro avviso è Renato Dominici, referente del presidio Slow Food delle due razze e presidente del Consorzio per la tutela e la valorizzazione della bianca, della bionda e del coniglio grigio di Carmagnola. Spiega Dominici: “A causa della diseducazione alimentare imperversante, del mancato rispetto dei tempi e della forzatura della crescita con ormoni e prodotti ingrassanti vari, gli animali perdono consistenza e il loro odore e il sapore diventano sgradevoli”. Poi precisa: “Io non sono un produttore e parlo per rispetto verso i canoni che dovrebbero guidare i consumatori, che rischiano la loro salute. Da esperto gastronomo dico che le razze piemontesi sono invece entrambe eccellenze. Usando un termine non molto scientifico, ma poeticamente e concretamente valido, le loro carni ricordano il pollo ruspante che si comprava in campagna una volta. Rappresentano i sapori autentici. Non è questione di campanilismo: sono sicuro che le altre razze italiane ed estere sono ottime, se però allevate in modo naturale e nel rispetto dell’ambiente”.
Proprio per garantire questa genuinità nel 2006 è nato il Consorzio (con sede presso la Coldiretti di Carmagnola) che chiede agli allevatori della bionda e della bianca di aderire a un rigido disciplinare e in cambio dà assistenza specializzata e soprattutto appone il marchio Slow Food: “Facciamo controlli e chi non si adegua è cancellato”, precisa Dominici. “I produttori aderenti però hanno diritto a una consulenza veterinaria attraverso i nostri medici di fiducia, a servirsi dei nostri incubatori, che danno garanzie della qualificazione genetica degli animali, e all’uso dei nostri macelli autorizzati, che rispettano le regole della Comunità Europea”.
Dominici è molto severo anche sul celebre cappone di Morozzo, che prende il nome dal paese e che si ricava esclusivamente dalle due razze autoctone: “Morozzo ha iniziato l’iter della celebrità del suo cappone quando gli animali oggetto della produzione erano tratti elusivamente dalla bionda e dalla bianca. Oggi, lo dico con rammarico e senza polemiche, questa prelibatezza sta perdendo fama e qualità per la produzione troppo alta e remunerativa. Inoltre si ricorre a razze non autoctone: quindi, il nome è poetico ma la realtà non è più quella”.
Una delle eccezioni è Pasqualina Baldo, che aderisce sin dalla loro fondazione sia al consorzio di Slow Food sia a quello di tutela e valorizzazione del cappone, creato nel 2001 e che riunisce i 13 comuni interessati dalla produzione. L’allevatrice possiede 150 galline e 15 galli di bionda piemontese e sta compiendo ricerche per riscoprire il patrimonio gastronomico legato a questa razza e alla bianca di Saluzzo: “Ho letto, anche se purtroppo non ricordo dove, racconta, che nella nostra tradizione c’era anche la pularda o polla castrata, detta capponessa. Tre anni fa abbiamo provato a farla e a servirla in cene di soci Slow Food, che l’hanno trovata eccezionale. Al momento la facciamo solo noi”.
Quello che muove la signora Baldo è la passione, “perché con i limiti severi dei disciplinari nessuno guadagna”, spiega. Inoltre, la crescita di questi animali è inferiore e più lenta rispetto agli ibridi dell’allevamento intensivo: “Il cappone di Morozzo pesa da 2 a 2,7 kg. vivo, quindi una volta macellato il più grosso arriva a 2,3 kg. Matura in più tempo e infatti noi incubiamo a marzo e macelliamo a novembre. Inoltre essendo libero di fare moto consuma di più”.
Gli ostacoli restano numerosi, ma altrettanto numerose sono le soddisfazioni; per questo la signora Baldo non ha rimpianti: “Io ho sempre amato questo animale per la sua bellezza e la sfida che comporta. Sicuramente se la gente capisce, si rende conto che sta gustando qualcosa di eccezionale. Se lei ne prende uno e lo fa bollire senza nulla, solo un po’ di sale, sente la differenza. E non a caso sto ricevendo richieste anche dall’estero”. E conclude con un monito: “Nonostante i limiti al guadagno, sono favorevole al disciplinare, perché è fondamentale non rovinare il cappone e la sua immagine”.