FRANCESCO FAÀ DI BRUNO
In Via San Donato un museo ricorda una personalità poliedrica
dell'Ottocento piemontese
Gabriella Bernardi
A Torino, nella commerciale Via San Donato, poco distante da piazza Statuto, si trova un museo ricco di strumenti scientifici, libri e non solo, ma la sua presenza è sconosciuta ai più nonostante sia aperto al pubblico dal 1980. È intitolato a Francesco Faà di Bruno, un piemontese vissuto nel periodo risorgimentale e di origini nobili, una personalità eccezionalmente poliedrica: fu soldato, scienziato, musicista, animatore di opere sociali, giornalista e professore universitario, nonché prete e, dal 1988, pure beato. La visita al museo si può effettuare solo previa prenotazione telefonica, essendo all’interno dell’Istituto Suore Minime di Nostra Signora del Suffragio, che comprendono anche la chiesa e il campanile - progettato dallo stesso Faà di Bruno.
Varcato la soglia dell’Istituto ci si lascia alle spalle i rumori della città e si è avvolti dalla tranquillità del luogo e dall’operosità delle sue abitanti. Attendendo la guida e sfogliando un depliant si può iniziare a leggere la sua biografia, dalla quale apprendiamo che nacque ad Alessandria il 29 marzo 1825, ultimo di dodici figli, studiò alla Regia Accademia Militare e partecipò alla Prima Guerra di Indipendenza nel 1848-1849. Dimessosi dal servizio militare, si laureò in matematica e in astronomia alla Sorbona di Parigi. A Torino insegnò nell’Università, all’Accademia Militare e al Liceo Faà di Bruno. Nel 1859 fondò l’Opera di Santa Zita per le donne di servizio, ed altre opere di assistenza sociale ed educative, privilegiando sempre la donna, giovane ed anziana. Annessi all'Opera c'erano l’emporio cattolico, una tipografia, una biblioteca circolante per tutta l’Italia e una lavanderia a vapore. Faà di Bruno promosse anche l'apertura di bagni pubblici e di cucine economiche per i poveri. Fu socio attivo nelle Conferenze di San Vincenzo a Parigi con Ozanam, ne fondò una ad Alessandria e una a Torino di cui fu primo presidente. Costruì la chiesa di Nostra Signora del Suffragio, centro di preghiera per le anime dei defunti e in particolare per i caduti di tutte le guerre; progettò l’ardito campanile di ben 75 metri, un miracolo di staticità.
A 51 anni fu ordinato sacerdote a Roma per concessione di Pio IX e compì un intenso ministero sacerdotale. Istituì a Torino una casa per ragazze madri e un collegio professionale a Benevello d’Alba. Nel 1868, da laico, iniziò la Congregazione delle Suore Minime di N.S. del Suffragio, ufficialmente approvata il 16 luglio del 1881, cui lasciò l’impegno di continuare le opere socio-educative e assistenziali da lui iniziate, che attualmente hanno sedi in Italia, Argentina, Colombia, Romania e Africa. Collaborò a riviste scientifiche, pubblicò dotti trattati e testi scolastici adottati anche all’estero. Fu cartografo, musicista e scrisse manuali di devozione e liturgico-musicali, opuscoli ascetici, agiografici e morali. Morto a soli 63 anni, il 27 marzo del 1888, le sue spoglie riposano dal 1925 nella chiesa da lui fondata in via San Donato 33. Fu beatificato a Roma il 25 settembre 1988 da Giovanni Paolo II.
Il museo si compone di nove sale, tre delle quali ospitano oggetti e scritti, attraverso i quali si ripercorre la vita del fondatore, scandita dalle sue molteplici attività.
Particolarmente interessante è la raccolta di strumenti scientifici e tecnici dell’epoca, acquistati o anche inventati da Faà di Bruno. Tra i primi c'è il telescopio di Foucault, fra i secondi due invenzioni da Faà di Bruno: il fasiscopio e lo scrittoio per ciechi. Mentre di quest’ultimo si può facilmente intuire l’impiego, il fasiscopio merita una spiegazione un po’ più dettagliata. È costituito da un supporto che sostiene un braccio rotante al termine del quale si trovano due sfere di differenti dimensioni: quella più grande rappresenta la Terra, quella più piccola la Luna. Questo apparato, costruito nel 1858, veniva utilizzato dall’inventore stesso per spiegare la teoria delle fasi lunari ed era utilizzato durante le lezioni di Astronomia popolare. Non bisogna dimenticare che Faà di Bruno scrisse anche libri di matematica che ebbero un’ottima accoglienza nel mondo degli studiosi ed ampliarono la letteratura delle scienze esatte; ma il Nostro fu anche un divulgatore, che con l'ausilio dei suoi apparecchi teneva lezioni non solo accademiche.
Le altre sale ospitano la ricchissima biblioteca dello scienziato piemontese, consultabile da laureandi e studiosi, e i rimanenti ambienti sono gli stessi – sobri, funzionali, essenziali – in cui Faà di Bruno abitò. Annesso al museo c'è un archivio in cui possibile visionare tutti gli incartamenti relativi anche alle opere scientifiche del personaggio, fra cui le lettere autografe degli illustri studiosi, politici, storici e religiosi con cui ebbe contatti.
Ma segnaliamo anche una curiosità: la Carta Topografica della Regione del Mincio. Data la sua preparazione tecnico-scientifica, infatti, Faà di Bruno seguì un biennio di specializzazione in topografia presso la Scuola di Applicazione, e durante la campagna del 1848 fu incaricato di redigere tale carta, che realizzò in dieci tavole.
Il museo è interesante anche per chi si occupa di oggetti religiosi, in quanto una delle sue stanze ospita una serie di paramenti religiosi dell’Ottocento, reliquie antichissime e un calice donato da Pio IX in occasione dell’ordinazione sacerdotale di Francesco Faà di Bruno. Usciti dal Museo e dall’Istituto, mentre vi allontanate, non dimenticate di dare uno sguardo al campanile dall’aspetto è esile e slanciato, all’interno del quale attrezzò un piccolo osservatorio astronomico. Anche quella fu una sua opera che oggi sembra vigilare dall’alto la città.
Museo Francesco Faa’ di Bruno
Per informazioni e per prenotare una visita:
Suore Minime di Nostra Signora del Suffragio
Via San Donato, 31 - 10144 Torino.
Tel. 011489145, e-mail centrostudi@faadibruno.it
www.faadibruno.net/
Le tassiste torinesi demoliscono il pregiudizio sui “lavori da maschi”
Roberta Arias
A sfatare il pregiudizio che la donna guida peggio dell’uomo e che certe cose “sono da maschi”, ci pensano le tassiste di Torino. Basta andare a Porta Nuova o nei pressi di Corso Dante per trovare il parcheggio dove sfilano in bianco e su quattro ruote! Di tutte le età, di bell’aspetto e altrettanto gentili, queste donne piemontesi hanno deciso di abbandonare il lavoro d’ufficio o il negozio per mettersi in macchina.
Non si tratta certo di un lavoro facile, né leggero: si parla di 10-12 ore di servizio al giorno, ma con il grande vantaggio di avere orari flessibili, permettendo così ad una donna di essere anche mamma e moglie. Per questo motivo, e non solo, il numero delle “taxi driver“ sta aumentando in Piemonte. E per chi ancora pensa che la donna al volante sia ancora un “pericolo costante”, è perché non le ha viste all’opera: cordiali, grintose e capaci, rappresentano il lato dolce del servizio taxi.
Il Presidente della Cooperativa RadioTaxi, il Dottor Bestente, è orgoglioso del suo organico femminile: “Una trentina di donne, molto motivate e professionali. A dispetto degli uomini, devo ammettere, hanno la guida più pacata e poi hanno un bel modo di rapportarsi con i clienti, sono garbate”. Oggi sono molte quelle che si contano nell’albo professionale dei tassisti, mentre fino a pochi anni fa per una donna era davvero inconsueto scegliere quella strada. Al proposito, Bestente commenta: “Mi ricorderò sempre di una donna, Marisa, una pioniera del mestiere, forte e coraggiosa: ha iniziato anni fa e ha continuato fino alla fine, riuscendo ad allevare i figli e a mantenere la famiglia. Adesso il figlio fa lo stesso lavoro della mamma, un bell’esempio”.
E se la donna in Italia ha iniziato la sua emancipazione sociale soltanto nel 1946, oggi può condurre un taxi e portare a spasso dirigenti d’azienda, professori, vip, giovani, vecchi, belli e brutti. Come? Impegnandosi a muso duro con quella tenacia e quel pizzico di stravaganza che contraddistingue il “sesso debole” e lo sa rendere tutt’altro che fragile.
Chi per necessità, chi per scelta e chi perché ci si è trovata dentro, le donne tassiste affrontano il traffico della città, la ztl, i numerosi semafori di Corso Francia e Corso Vittorio, il maltempo, i pericoli della strada e non solo. Molto spesso si trovano a contatto con le vicende della gente, diventandone complici, oppure, come in alcuni casi dove la riservatezza della macchina lascia spazio alla chiacchiera, si prestano all’ascolto di coloro che, più soli di altri, sentono il bisogno di fare due parole con un interlocutore umano.
Forse le loro storie non sono avventurose come quelle di cui era protagonista De Niro in Taxi driver, ambientato nella New York del 1976, ma è affascinante entrare nella loro quotidianità fatta di corse, incontri, episodi in una città come Torino, che sta diventando una metropoli caotica e altrettanto cosmopolita, ambita meta turistica dodici mesi l’anno. Approfittando di una sosta tra una corsa e l’altra, siamo andati in giro a cercarle e le abbiamo incontrate: sono Daniela, Giuliana e Nuccia, tre esempi diversi di come una donna vive e sente questa professione.
Daniela lavora dal '92. Ha iniziato con l’appoggio del suocero mentre il marito, benché tassista anch’egli, all’inizio era contrario alla sua scelta, nutriva delle perplessità temendo che non fosse sicuro. “Sono contentissima, non potrei mai fare un lavoro d’ufficio!”, commenta. Non definendosi un “animale notturno” ha scelto l’orario diurno dalle 8:30 alle 18 e ha un figlio di 15 anni a cui ha potuto dedicare tempo, anche grazie a questo lavoro. La cosa che le piace di più del suo lavoro? Il rapporto con la gente e con colleghi che, ci confida, la considerano la “numero uno” del gruppo e ogni giorno si dimostrano protettivi con lei. Che cosa cambierebbe? Forse, commenta lei, le corsie preferenziali: a Torino sono troppo poche! La cosa più difficile con cui fare i conti? Cercare di conciliare gli impegni della famiglia con quelli lavorativi. Ci domandiamo se i torinesi siano abituati all’idea del taxi al femminile, Daniela ci risponde: “Rispetto ad altre città è piuttosto chiusa, ancora un po’ scettica: nell’immaginario comune sei considerata ancora “un uomo” quando lavori, anche se poi di fatto, noto che sono tutti gentili con noi. La gente è educata, apprezza i piccoli gesti come caricare i bagagli nel baule o aspettare a ripartire dopo che una persona è entrata nel portone di casa; la gentilezza porta gentilezza”, spiega Daniela.
Essere donna aiuta in certi casi, perché con alcuni clienti si crea una sorta di complicità femminile, ci racconta: “Mi è capitato di stare al gioco davanti ad una richiesta un po’ bizzarra. Una ragazza mi ha chiesto di consegnare il regalo di nozze al suo compagno portandolo a destinazione con il taxi. Sembrava di essere in una favola, io davanti al volante e sul sedile posteriore un mazzo di rose rosse e un orologio impacchettato. La sorpresa è stata un successo, ci siamo divertiti tutti! Ho trovato curioso il ribaltamento dei ruoli, una “lei” che demanda un’altra donna di farsi messaggera di una dichiarazione d’amore, una cosa che di solito è lasciata ai maschietti”.
Tuttavia, non è sempre così semplice lavorare. A Daniela è capitato di ricevere con insistenza delle avances da un cliente e l’unico modo per arginarle è stata l’ironia. In un altro caso, invece, è stata anche vittima di un’aggressione, per fortuna senza gravi conseguenze: “Io penso che certi uomini non riescano ad accettare la libertà delle donne e cercano di fartela pagare, anche se tu sei seria e non fai proprio nulla per meritartelo”. I suoi colleghi sono degli “zii” per il figlio: “Sì, sono veramente degli amici per me. Mi ricordo di quella volta in cui ho fatto salire un tipo con una brutta faccia. Un mio collega, che aveva visto tutta la scena, ha segnalato il caso alla centrale che mi ha fatto rientrare con un pretesto, perché poteva essere pericoloso. Io lì per lì non ci ho fatto caso, ma poi ho notato che questo tizio non me la contava giusta e voleva essere portato in un posto in campagna… insomma, i miei colleghi sono davvero attenti, gli sono grata. Io mi sento al sicuro sul taxi perché so che non sono mai sola!”
Se fai questo mestiere qualcosa da espiare ce l’hai!”, esclama con tono un po’ sarcastico Giuliana, ex agente di commercio, che oggi vive in compagnia della figlia e dei gatti. Da cinque anni fa il turno di notte per avere tempo di giorno: “È necessario, me lo faccio piacere!” Alla domanda se il suo è un lavoro strano per una donna, ci risponde: “Più donne si vedono, più donne lo fanno”. A lei, che viaggia quando la città dorme ancora, la notte non sembra far paura: “Mah, qualcosa certo può capitare, ma nulla di diverso da quello che può succedere a un uomo, dipende dalla nostra sensibilità, da come vivi le cose, io uso più la testa e meno la clava!”
E poi c’è Nuccia, 53 anni, una vera entusiasta della sua attuale professione. Dopo quarant’anni di lavoro in negozio, prima la panetteria, poi la tintoria e infine l’enoteca, da qualche anno ha realizzato un sogno: essere tassista. “Adoro guidare, stare in contatto con la gente. Quando metto il sedere in macchina mi sento una regina! La mia prima corsa è stata in Corso Giulio Cesare, ah, bello, me la ricordo ancora adesso!”. Nuccia ha scelto il turno spezzato, dalle 7;30 alle 13 e dalle 15 alle 21:30, salvo qualche eccezione serale in occasione di eventi particolari: “È un lavoro flessibile, ti permette di seguire la famiglia. Io ho una figlia, per esempio. Mi giostro le ore, decido quando mangiare, a volte nella pausa mi faccio anche i capelli!” Il suo rapporto con i colleghi è buono: “Sì, sì, mi trovo bene con tutti, i maschi non si fanno problemi, per loro siamo tutti un po’ camionisti! E poi io sono una che vive e lascia vivere” Ci chiediamo se in tutta questa euforia, Nuccia non abbia qualcosa da confidarci e se, come donna, non ha mai avuto paura: “Esperienze brutte, per fortuna, non ne ho mai avute. Temo le rapine, ma non le avances. Io sono un donnone, sono gi altri che devono avere paura di me!!! A volte ho temuto, ma le centraliniste mi hanno sempre aiutato, è molto utile il contatto via radio”.
È senza dubbio particolare la scelta di una donna che, non più giovanissima, decide di mettersi al volante per la città, ma nel suo caso è stata la realizzazione di un desiderio: “Lavoravo con una ragazza i cui parenti erano tassisti e fin da allora provavo un certo fascino nel sentirla parlare di loro: allora mi sono detta, se lo vuoi fare, fallo! Ed eccomi qui. Per me è un orgoglio esserlo”. Al pensiero di guidare per un uomo, Nuccia dice: “Mi è capitato di portare quattro signori in macchina, non voglio fare brutte figure, a volte è imbarazzante, non puoi parlare di tutto. Io cerco sempre di far vedere che guido bene! Non mi va di farmi bagnare il naso solo perché sono donna!”
Qualche aneddoto? “Mi è successa una cosa davvero simpatica. Talvolta devi anche portare anche degli oggetti, non solo persone. Dovevo andare a prendere una famiglia che aveva prenotato la corsa e sul display ho letto la scritta “4 persone frigo”, quindi pensavo di dover caricare un frigorifero e già mi chiedevo come avrei fatto. Quando arrivo sul posto, trovo le quattro persone, ma nessun frigo e poi ho capito perché: “Frigo” era il loro cognome! Mi sono divertita molto”.
Il contatto con il pubblico è stimolante, commenta: “Mi è capitato anche di portare in macchina un vip, ma non sono tutti montati, alcuni sono persone umili. Quello che ho conosciuto io lavora nell’editoria, è piuttosto famoso. L’ho riconosciuto subito e, quando siamo arrivati a fine corsa, gli ho chiesto se mi concedeva un autografo: lui era stupito, diceva che non era nessuno, che non se l’aspettava una richiesta simile”. Il marito di Nuccia, dopo trentasei anni di vita insieme, si dimostra contento del lavoro della moglie: soltanto, si raccomanda, che non rientri troppo tardi la sera!
FRANCESCO FAÀ DI BRUNO
In Via San Donato un museo ricorda una personalità poliedrica
dell'Ottocento piemontese
Gabriella Bernardi
A Torino, nella commerciale Via San Donato, poco distante da piazza Statuto, si trova un museo ricco di strumenti scientifici, libri e non solo, ma la sua presenza è sconosciuta ai più nonostante sia aperto al pubblico dal 1980. È intitolato a Francesco Faà di Bruno, un piemontese vissuto nel periodo risorgimentale e di origini nobili, una personalità eccezionalmente poliedrica: fu soldato, scienziato, musicista, animatore di opere sociali, giornalista e professore universitario, nonché prete e, dal 1988, pure beato. La visita al museo si può effettuare solo previa prenotazione telefonica, essendo all’interno dell’Istituto Suore Minime di Nostra Signora del Suffragio, che comprendono anche la chiesa e il campanile - progettato dallo stesso Faà di Bruno.
Varcato la soglia dell’Istituto ci si lascia alle spalle i rumori della città e si è avvolti dalla tranquillità del luogo e dall’operosità delle sue abitanti. Attendendo la guida e sfogliando un depliant si può iniziare a leggere la sua biografia, dalla quale apprendiamo che nacque ad Alessandria il 29 marzo 1825, ultimo di dodici figli, studiò alla Regia Accademia Militare e partecipò alla Prima Guerra di Indipendenza nel 1848-1849. Dimessosi dal servizio militare, si laureò in matematica e in astronomia alla Sorbona di Parigi. A Torino insegnò nell’Università, all’Accademia Militare e al Liceo Faà di Bruno. Nel 1859 fondò l’Opera di Santa Zita per le donne di servizio, ed altre opere di assistenza sociale ed educative, privilegiando sempre la donna, giovane ed anziana. Annessi all'Opera c'erano l’emporio cattolico, una tipografia, una biblioteca circolante per tutta l’Italia e una lavanderia a vapore. Faà di Bruno promosse anche l'apertura di bagni pubblici e di cucine economiche per i poveri. Fu socio attivo nelle Conferenze di San Vincenzo a Parigi con Ozanam, ne fondò una ad Alessandria e una a Torino di cui fu primo presidente. Costruì la chiesa di Nostra Signora del Suffragio, centro di preghiera per le anime dei defunti e in particolare per i caduti di tutte le guerre; progettò l’ardito campanile di ben 75 metri, un miracolo di staticità.
A 51 anni fu ordinato sacerdote a Roma per concessione di Pio IX e compì un intenso ministero sacerdotale. Istituì a Torino una casa per ragazze madri e un collegio professionale a Benevello d’Alba. Nel 1868, da laico, iniziò la Congregazione delle Suore Minime di N.S. del Suffragio, ufficialmente approvata il 16 luglio del 1881, cui lasciò l’impegno di continuare le opere socio-educative e assistenziali da lui iniziate, che attualmente hanno sedi in Italia, Argentina, Colombia, Romania e Africa. Collaborò a riviste scientifiche, pubblicò dotti trattati e testi scolastici adottati anche all’estero. Fu cartografo, musicista e scrisse manuali di devozione e liturgico-musicali, opuscoli ascetici, agiografici e morali. Morto a soli 63 anni, il 27 marzo del 1888, le sue spoglie riposano dal 1925 nella chiesa da lui fondata in via San Donato 33. Fu beatificato a Roma il 25 settembre 1988 da Giovanni Paolo II.
Il museo si compone di nove sale, tre delle quali ospitano oggetti e scritti, attraverso i quali si ripercorre la vita del fondatore, scandita dalle sue molteplici attività.
Particolarmente interessante è la raccolta di strumenti scientifici e tecnici dell’epoca, acquistati o anche inventati da Faà di Bruno. Tra i primi c'è il telescopio di Foucault, fra i secondi due invenzioni da Faà di Bruno: il fasiscopio e lo scrittoio per ciechi. Mentre di quest’ultimo si può facilmente intuire l’impiego, il fasiscopio merita una spiegazione un po’ più dettagliata. È costituito da un supporto che sostiene un braccio rotante al termine del quale si trovano due sfere di differenti dimensioni: quella più grande rappresenta la Terra, quella più piccola la Luna. Questo apparato, costruito nel 1858, veniva utilizzato dall’inventore stesso per spiegare la teoria delle fasi lunari ed era utilizzato durante le lezioni di Astronomia popolare. Non bisogna dimenticare che Faà di Bruno scrisse anche libri di matematica che ebbero un’ottima accoglienza nel mondo degli studiosi ed ampliarono la letteratura delle scienze esatte; ma il Nostro fu anche un divulgatore, che con l'ausilio dei suoi apparecchi teneva lezioni non solo accademiche.
Le altre sale ospitano la ricchissima biblioteca dello scienziato piemontese, consultabile da laureandi e studiosi, e i rimanenti ambienti sono gli stessi – sobri, funzionali, essenziali – in cui Faà di Bruno abitò. Annesso al museo c'è un archivio in cui possibile visionare tutti gli incartamenti relativi anche alle opere scientifiche del personaggio, fra cui le lettere autografe degli illustri studiosi, politici, storici e religiosi con cui ebbe contatti.
Ma segnaliamo anche una curiosità: la Carta Topografica della Regione del Mincio. Data la sua preparazione tecnico-scientifica, infatti, Faà di Bruno seguì un biennio di specializzazione in topografia presso la Scuola di Applicazione, e durante la campagna del 1848 fu incaricato di redigere tale carta, che realizzò in dieci tavole.
Il museo è interesante anche per chi si occupa di oggetti religiosi, in quanto una delle sue stanze ospita una serie di paramenti religiosi dell’Ottocento, reliquie antichissime e un calice donato da Pio IX in occasione dell’ordinazione sacerdotale di Francesco Faà di Bruno. Usciti dal Museo e dall’Istituto, mentre vi allontanate, non dimenticate di dare uno sguardo al campanile dall’aspetto è esile e slanciato, all’interno del quale attrezzò un piccolo osservatorio astronomico. Anche quella fu una sua opera che oggi sembra vigilare dall’alto la città.
Museo Francesco Faa’ di Bruno
Per informazioni e per prenotare una visita:
Suore Minime di Nostra Signora del Suffragio
Via San Donato, 31 - 10144 Torino.
Tel. 011489145, e-mail centrostudi@faadibruno.it
www.faadibruno.net/